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Esercizi di omicidio, capitolo sette

di Piero Fabbri

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No, non fatele niente. Non c'entra niente, lei, lo sanno tutti. Lo sapete anche voi, certo, ma voi siete bestie, vero? Che ve ne frega a voi, solo per spaventarmi sareste capaci di spararle in faccia, far saltare il suo sorriso in un grumo di sangue carne e denti, e magari riuscire a ridere mentre lo fate. E io non vivrei più, nemmeno se poi riuscissi a prenderti e scorticarti centimetro per centimetro, maledetto. Maledetto, maledetto Vinorov, quante volte dovrò ammazzarti, per vederti morto?
- No, non fatele niente. Non c'entra niente, lei, lo sanno tutti.
- Ah, Moris, sai che scoperta, questa! Certo che tua sorella non c'entra niente, se non per il fatto di essere tua sorella. Ma non è cosa da poco questa, no? È giusto quanto basta per dimenticarla in un buco del terreno, se non farai il bravo ragazzo. O, magari, per lasciarla come giocattolo a miei uomini per una mezza giornata. Chissà, forse il buco nel terreno sarebbe più pietoso. Ma solo se non farai il bravo ragazzo, Moris, solo in questo caso.
- Ha solo quattordici anni, stronzo.
- Oh, i bravi ragazzi non dicono parolacce! E quattordici anni sono l'età preferita per Janos e Borla, pensa tu... Dicono che a sedici sono già un po' passate, un po' sfatte, le ragazzine.
Sedia che cigola, come se il peso sul cuore lo sentisse anch'essa, davvero sulle sue esili quattro gambe di metallo. Adesso, forse, se riuscissi ad essere abbastanza veloce, abbastanza deciso, abbastanza forte, forse riuscirei a strangolarlo qui, in piazza. Ma è grosso e forte, ha i gorilla vicini, e allora non riuscirò a strozzarlo, non ho abbastanza forza né tempo. Potrei chiedere un coltello al barista, forse. Ordinare qualcosa che non sia un drink, qualcosa per cui serva un coltello a punta, o anche solo un po' affilato. O al limite una forchetta. Chissà sé riuscirei a scavargli via il cuore dal petto, con una forchetta. Chissà se ci riuscirei abbastanza in fretta.
- Ho già detto che parlerò. Anche qui, subito, se vuoi.
- Comincia allora. Comincia col dirmi bene chi sei, a chi sei legato. Chi ti paga, chi ti ha chiesto di ammazzarmi - fece una larga pausa per infilarci in mezzo un bel sorriso cattivo - e non trascurare di citare i parenti più prossimi, se aiutano a rendere più chiaro il racconto.
- Mi chiamo Moris. Maurice, Moris, quello che è. Non mi ricordo quasi più quale sia la forma e la lingua giusta per pronunciare il mio nome. Maurice o Moris Luciani, e questo lo sai già benissimo anche tu. Non sono parente di Baptiste. Almeno non credo, qui forse si è tutti un po' parenti, per forza. Paese di mille anime con quattro cognomi in tutto, difficile non essere parenti; ma per quanto ne so non lo siamo. Però lo conosco. Certo che lo conosco. Vuoi che ti dica di lui, vero?

- Si chiama Moris. Maurice, Moris, quello che è. Non è mica facile capirci qualcosa, con questi nomi mezzi italiani e mezzi francesi, commissario.
- Grazie, ispettore Borel. Non dubito che sia complicato, soprattutto per chi è nato a Parigi e non ha mai messo piede oltre il Bois de Boulogne. E poi, diamine, lo saprò ben io, no, con il cognome che mi ritrovo!
Borel arrossì. Era stata indubbiamente una bella gaffe, quella di ironizzare sui nomi italiani. Dannazione, finiva sempre così, quando stava di fronte al commissario. Anzi vicecommissario. Non rispose, sapeva che non sarebbe servito. E infatti, Magretti-Maigret ricominciò subito a parlare di Moris-Maurice.
- Ma di grazia, ispettore, le dispiacerebbe darmi anche qualche indizio ulteriore? Anche solo approssimativo, non necessariamente dettagliato e calzante. che ne so, ad esempio, potrebbe anche solo lontanamente cercare di farmi capire di cosa diavolo sta parlando? - il crescendo con cui questa frase uscì dalla bocca del commissario non era particolarmente gradevole per nessuno. Figuriamoci per il sottoposto diretto destinatario.
- Ma... ma... ma...
- Non si ricorda più il resto del mio nome?
- No... no... no...
- Non sono sicuro di avere tutto il tempo necessario per affrontare un dialogo basato su monosillabi ritmicamente ripetuti.
Magretti adorava tormentare i giovani ispettori. C'era la tradizione, al Quai des Orfevrés, che il primo colloquio dei novellini fosse una messa in scena di un cazziatone magistrale eseguito proprio dal vicecommissario contro il nuovo arrivato. Era una tradizione un po' crudele, ma pur sempre una tradizione, e in fondo ci si divertivano tutti. Tranne il novellino di turno, naturalmente.
Però l'ispettore Borel aveva già superato quella prova terribile, e questo giocare al gatto e al topo non aveva più ragione d'essere; il commissario se ne rese conto improvvisamente mentre scrutava le labbra tremanti dell'ufficiale, e si accorse di sentirsi vagamente in colpa. Era un peccato far tremare quelle labbra così attraenti.
Attraenti? Come sarebbe a dire attraenti? Si irritò al solo pensiero, e tornò furioso.
- Ispettore Borel! Vuole finalmente dirmi di che cosa sta parlando, dannazione?
- L'assassino. Il morto. La Défense. Quello , insomma. Moris, si chiama, quello che ha sparato. O magari Maurice, o Moritz, non lo so. Tremava, mentre parlava col morto - e tremava anche l'ispettore Borel. Non riusciva più a governare le sue labbra attraenti: vibravano, impilavano parole con sintassi moribonda, sembravano sempre sul punto di liberare anche singhiozzi, nel giro di pochi istanti. E chissà, magari non aspettavano altro che d'essere rigate da una lacrima.
L'assassino, il morto, la Défense. L'assassino che trema e che parla col morto, dopo essersi presentato con un nome trilingue. Non era davvero possibile capirci granchè, in questo vaticinante rapporto d'ispettore, se non che, effettivamente, sembravano esserci delle novità sorprendenti, quasi sovrannaturali, nel caso della Défense. Ma non si poteva continuare così, con l'ispettore ormai quasi in preda ad una crisi di pianto. Si può scherzare a fare il capo fetente, si può godere degli scherzi crudeli, ma non si potevano far piangere davvero quegli occhi così intensi. Labbra attraenti e occhi intensi, mio Dio! Stava davvero perdendo l'autocontrollo. Finchè si limitava a guardare in tralice le gambe e il sedere del suo ispettore, poteva sempre mentire a sé stesso, e far finta che fosse pura curiosità relativa alla forma fisica del corpo - in tutti i sensi - di polizia. Ma se adesso si ritrovava a parlare a sè stesso in termini di labbra e occhi, mancava un niente che finisse a comporre poesiole con la triplice rima cuore-amore-ispettore.
- Ispettore! - urlò, per ricondurre all'ordine più sé stesso che il sottoposto - si controlli!
E l'ispettore ci provò, a controllarsi. Tirò su col naso, cercò di rendere gli occhi meno lucidi e far cessare il tremito delle labbra. Infine si raddrizzò meglio sull'attenti, spina dorsale eretta, gambe appena divaricate, sguardo fermo e sicuro diretto nel vuoto.
- Signorsì, signor commissario - disse infine, tirando indietro l'invisibile pancia e lasciando trionfare i pettorali nella posizione marziale d'attesa.
Maigret si sentì quasi mancare. Aveva brividi lungo la schiena e le farfalle nello stomaco, come un quattordicenne al primo appuntamento. Era una visione di intollerabile bellezza, dalla punta delle scarpe di vernice su, su, su, fino ai capelli biondo cenere. Impossibile restare impassibili, di fronte ad un simile spettacolo. Le gambe diritte e affusolate uscivano prepotenti dall'orlo della gonna blu d'ordinanza, e la camicetta bianca della divisa riusciva a malapena a celare il contenuto d'un generoso reggiseno che certo d'ordinanza non era, se riusciva a creare tanto disordine nella testa d'un commissario.
- Ispettore - ripeté, con voce improvvisamente più calda e bassa - Ispettore Isabelle Borel, non resti lì impalata come un manichino della Samaritane, adesso! Non volevo riprenderla o altro, è solo che davvero non ho capito bene. Tutto qui.
Si alzò dalla scrivania, aprì il cassetto più basso del classificatore vicino alla finestra, ne tirò fuori due bicchieri di carta e una bottiglia di Calvados. Versò un dito di liquore in entrambi, e ne allungò uno a Borel.
- Ecco, beva un po' di questo, ispettrice. Pardon, ispettore. Devo ancora abituarmi a tutte le regole che dovrebbero garantire il politically correct, le pari opportunità e tutto il resto. È che a me "ispettrice" non sembra un brutta parola, e fatico a non usarla.
- No, non è una brutta parola. E a me non dispiace sentirmi chiamare così; ma anche "ispettore" va bene, ha una sua neutra dignità - poi, finalmente, sorrise - però, se lei nasconde il Calvados in ufficio, mi sa che non le dispiace poi tanto l'idea d'essere chiamato Maigret, vero?
- Oh, beh. Tanto... quando si crea un leggenda, tanto vale alimentarla un po'. Specie se il Calvados merita. Adesso, però, bisogna che ricominciamo da capo e con calma, perché davvero non ho capito granché. Mi parlava della Défense, vero?
- Sì, commissario. Volevo avvertirla che abbiamo localizzato l'assassino; si chiama Moris Luciani, è tornato a casa, l'abbiamo visto seduto ad un tavolo con la sua vittima, sembrava molto teso.
- Er... Isabelle, sarei molto teso anche io se dovessi bere Calvados con quelli che ho ammazzato, anzichè con lei... le dispiace partire da un po' prima, ancora? Non mi è ancora molto chiara la dinamica. Io ero rimasto solo a...
- È vero, commissario, ha perfettamente ragione, mi scusi - nel pronunciare la frase, l'ispettore Borel si chinò verso Maigret, che potè così constatare quanto fosse complicato il ricamo di pizzo del suo reggiseno. Non fece fatica a scusarla.
- Lei certo non ha avuto tempo a leggere gli ultimi rapporti, ad essere informato, visto che era in trasferta!
- Ehm, già. - A dire il vero, più che di una trasferta si era trattato di una vacanzuccia illegittima e non dichiarata, ma...
- Già! Ecco perché è così stupito! Allora, da dove posso cominciare? Vediamo... Sa certo che hanno ucciso un uomo alla Défense... sì sì sì, non dica niente, lo so che lo sa. Saprà anche del clamoroso colpo di c... fortuna!
- Cfortuna, Isabelle? - era delizioso vederla arrossire. Le diventava rossa anche la gola e il collo.
- Non mi prenda in giro, commissario. Allora, forse non sa che la nuova arrivata, la brunetta riccia dell'archivio del secondo sotterraneo, quando ha visto la foto di Vinorov l'ha riconosciuto come il figlio della sua vicina di casa, e...
- Vinorov? Il morto? Figlio della vicina di casa d'una poliziotta che lavora qui? - il vicecommissario Magrettì era quasi dimentico delle grazie dell'ispettrice Borel, a questo punto.
- Beh, ma che non era morto Vinorov lo sapeva già, no? O meglio, che il morto non era Vinorov. Non che Vinorov non fosse morto, ma che il morto ammazzato non fosse Vinorov, ecco, questo lo sapeva, lo so. Lo so che lo sapeva. Lo sapeva o no?
- Lo sapevo? Sì, è vero, lo sapevo - concesse il commissario, dopo una ventina di secondi trascorsi nel tentativo di farsi strada in mezzo allo scioglilingua.
- E allora! - l'ispettore stava prendendo sicurezza e confidenza, e accavallò le gambe. L'attenzione del commissario sembrava la parodia d'uno spettatore di tennis: saltava da una parte all'altra del corpo dell'interlocutore.
- Allora sa già quasi tutto! - riprese trionfante Isabelle - Vinorov non era morto, ma noi pensavamo ancora che fosse morto, e quando Lucille lo ha riconosciuto...
- Lucille?
- Certo, Lucille. L'archivista brunetta e riccia che...
- Ah sì, sì, certo. L'ha appena nominata, è vero.
- Già. Poi, figuriamoci se non la conosce... è arrivata in finale a Miss France giusto sei mesi fa, scommetto che l'ha assunta apposta, dica la verità...
Isabelle controaccavallò le gambe, e stavolta in maniera quasi spudorata. Maigret attese un bel po' prima di replicare: la squadrò con esplicita attenzione, poi pensò che doveva smetterla di prendersi le vacanzuccie non autorizzate. Era tempo sprecato. Doveva prestare più attenzione al suo ufficio, al suo commissariato. Seguire i progressi degli ispettori. Verificare i progressi degli impiegati. Sotterranei e archivi compresi.
- Vuol dire che l'archivista è riuscita a darci l'indirizzo del suo rifugio a Parigi?
- Ma no, commissario! Che c'entra Parigi, adesso? Quello qui se ne stava in albergo di lusso, non se lo ricorda? No, era un suo vicino di casa quando stava ancora al suo paesello natale, sul confine italo-francese!
- Non ci credo.
- Come no! È per questo che l'ispettore capo ha subito mandato l'ispettore Rochelle a Saint Golain, in Italia, per prendere informazioni su questo Vinorov, che...
- Saint Golan è il paese dell'archivista riccia?
- Certo, commissario!
- L'ispettore Rochelle è andato là?
- Sì, commissario! E quando ha visto Vinorov che girava per il paese, ha subito chiesto rinforzi. Adesso ci sono due squadre di osservatori e un commando di pronto intervento, lì. Tutto in perfetto accordo con la polizia italiana e con l'Interpol, naturalmente.
- Va bene. È incredibile, ma va bene. Ma perché tutto questo schieramento di forze? Non bastava prelevarlo e portarlo qua?
- Era quello che Dagobert stava per fare, commissario, ma...
- Dagobert?
- Dagobert Rochelle, commissario! L'ispettore! Il suo vice! - si spazientiva facilmente, Isabelle. Era piacevole vederla spazientirsi.
- Certo, certo, certo. Dagobert, come no.
- ... ma quando ha poi visto quella scena in piazza, e ha sentito attraverso i microfoni d'intercettazione cosa si dicevano quei due...
- Quei due, certo. Che erano, come mi stava dicendo...
- Ma Vinorov e Moris Luciani, commissario! Il morto-non-morto e il suo assassino! Che a questo punto, forse, è un assassino-non-assassino d'un morto-non-morto, ma visto che comunque un tizio lo ha pur steso, all'Esplanade, sempre assassino resta, no?
- Isabelle, per favore, solo per un istante... non chinarti e non accavallare le gambe, non muoverti. Resta il più possibile ferma e impassibile, e adesso spiegami come cavolo ha fatto Vinorov che se ne tornava al paesello a trovare prima di noi il suo boia. Come ha fatto a portarlo a Saint Golain, dove lo ha catturato?
Non si accorse di essere passato al tu. Ma Isabelle se ne accorse eccome.
- Oh, ma non lo ha catturato mica! Si sono solo incontrati lì per caso, perché anche Moris è di Saint Golain!
- L'assassino della Dèfense, è di Saint Golain?
- Sì, commissario.
- La vittima della Dèfense, la mancata vittima intendo, Vinorov, anche lei di Saint Golain?
- La madre della mancata vittima, sì, commissario.
- La nostra archivista, neo-assunta, Miss France come-si-chiama, anche lei è di Saint Golain?
- Ah, Lucille. Sì, commissario, anche lei.
- E Saint Golain, in Italia, quanti abitanti fa?
- Circa milleduecento, commissario. Perché?
Maigret non rispose. Si alzò, girò intorno alla scrivania, e si piazzò di fronte all'ispettrice Borel, ancora seduta. Le si fece vicino. Molto vicino.
- Isabelle, sei libera stasera?
L'ispettrice Borel imporporò come un tramonto sulla Senna.
- Sì, ma.
- Dammi il tuo indirizzo, passo a prenderti alle otto. A meno che tu non voglia restare a cenare a casa tua. Si risparmierebbe tempo.
- Va. va bene, posso cucinare io un paio d'omelette. Ma come facevi ad essere così sicuro che ti avrei detto sì?
- Ah, io come commissario sono un disastro. E anche come conoscitore di uomini, non sono un granchè. Ma so riconoscere le giornate fortunate.

 

Capitolo 8.

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