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Giovedì briscola

Capitolo quindici, di chinalski

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Melchit era seduto alla sua scrivania della sede di Wellington dei Figli di Melchit. Stava studiando la mappa della parte di mondo da cui era iniziata l'espansione della sua religione, e si stava accorgendo che non avrebbe mai potuto immaginare di essere lui al centro di una comunità tanto vasta. Auckland era stata la prima città dell'Oceania a potere vantare una chiesa dei Figli, nata ben prima del suo trasferimento sull'isola, ed era rimasta una delle più fiorenti della zona, in grado di assorbire molte delle sue attività collaterali e, specialmente, in grado di offrire migliaia di discepoli desiderosi di null'altro che di delegare le proprie responsabilità a chi glielo proponesse. Quando Melchit era ancora negli Stati Uniti e desiderava fare un bagno di folla, era specialmente ad Auckland che pensava. I Figli di Melchit erano già approdati a Melbourne, poi a Sidney, dopo è stata la volta di Port Moresby, infine Jakarta. Non seguiva più direttamente la gestione della religione, ma ne era comunque il fondatore, o meglio, il Traghettatore, che era la sua carica ufficiale, e non poteva, e neanche voleva, sottrarsi agli impegni religiosi di fronte ai suoi discepoli.

Melchit uscì da una delle porte di servizio, attraversò le vie che in Europa sarebbero state degli angiporti, e lì erano solo delle normali, pulite vie di città, fino ad arrivare al mare. Gli piaceva fermarsi a guardare la baia: erano i momenti in cui riusciva a sentirsi più vicino a suo padre, a Jim Morrison e a Melchit, come se fossero con lui di fronte all'acqua. Era in quei momenti che aveva ben chiaro cosa doveva fare per preparare la Osman , la base di attracco per gli alieni che sarebbero venuti a prendere i terrestri che lo desideravano per poi portarli sul pianeta di Melchit, il pianeta Munzan.
Era da due mesi ad Auckland ed era stato ben accettato nella zona, grazie anche alla montagna di soldi che sempre si muoveva insieme ai Figli. L'Osman era nello stesso tempo un aeroporto per le astronavi aliene e un gruppo di accoglienza per chi sarebbe arrivato dal lontano pianeta, e la sua costruzione avrebbe portato ricchezza e notorietà alla capitale. L'Osman esisteva solo nei progetti mentali di Melchit, ma già era guidato da una donna incinta, Gwenda, che era stata ingravidata durante un suo viaggio su Munzan, e da un gruppo direttivo di altre dieci donne. A breve sarebbero incominciati gli incontri coi progettisti, poi con le autorità comunali e infine si sarebbero aperti finalmente i cantieri.

Il Traghettatore aveva conosciuto il conte Alfio Emanuele Maria de Felicis un giorno che stava seduto su una panchina a guuardare la baia. Il conte era a Auckland da quattro mesi, insieme a Luigi Brienza, ed era coinvolto nell'esportazione di kiwi in Italia. Quell'uomo elegante si avvicinò a lui e gli chiese: - May I sit here? - - Ma certo – rispose Melchit.
- Lo so, non basterà mai qualche parola in inglese a nascondere il mio accento italiano.
Pioveva in modo insistente, Melchit indossava un impermeabile e il conte gli offrì protezione sotto il suo ombrello. Fu il conte a continuare a discorrere, e Melchit a rispondere evasivamente. Infine il conte disse.

- Credo di poterle essere di aiuto.
- Di aiuto? Riguardo a cosa?
- So ciò che sta facendo per noi, per l'umanità, e vorrei non solo ringraziarla, ma anche offrirle il mio aiuto. È un'organizzazione enorme, per un obiettivo epocale, e sarei fiero di potere dare il mio contributo.
Melchit era abituato ad essere riconosciuto, ma ciò avveniva sempre in modo molto più diretto. Il comportamento obliquo e attendista del conte lo avevano spiazzato. Parlarono per due ore, sulla panchina, e il conte si dimostrava un buon conoscitore della storia di Melchit, delle informazioni che aveva diffuso sul pianeta Munzan, della struttura gerarchica dei Figli di Melchit, e nello stesso tempo era avido di altre storie, di approfondimenti e di particolari della religione.
- Da tanto tempo la seguo, Maestro, e ho sempre desiderato incontrarla, non in una chiesa, in un luogo ufficiale, ma come oggi: noi due soli a parlare liberamente. Oggi ho sentito che lei è un uomo straordinario, che ciò che sta facendo è straordinario almeno quanto ciò che le è capitato anni fa. Lavoro nel commercio, nell'import-export tra varie nazioni, e se posso rendermi utile in qualche modo ne sarei felicissimo. Forse lei ha bisogno di velocizzare l'approvazione del progetto, forse le mie conoscenze a livello politico la potrebbero facilitare, forse posso metterla in contatto con qualcuno che le può interessare.

Il conte, entusiasta, la sera stessa raccontò a un esterrefatto Luigi Brienza l'incontro del pomeriggio. Luigi era turbato proprio dall'entusiasmo del suo datore di lavoro. L'esperienza gli diceva che nei periodi tranquilli il suo datore di lavoro gli permetteva una grande libertà: il conte lavorava all'organizzazione di attività fallimentari ma, tutto sommato, legali, o almeno così erano nelle idee iniziali. Luigi in questi periodi non aveva compiti da svolgere, poteva così lavorare liberamente per conto suo, in genere a organizzare e a realizzare affari assolutamente illegali che gestiva in prima persona e all'insaputa del conte. Però Luigi sapeva che quando il conte decideva qualcosa, per qualsiasi motivo: un'ispirazione improvvisa, un sogno, un'idea assurda, ebbene, in quel caso non era possibile discutere con lui: ciò che aveva deciso sarebbe accaduto. Il risultato di tutto ciò era che il conte Alfio perdeva un mare di soldi per la sua inettitudine a gestire i soldi e le imprese che intraprendeva, si infilava a testa bassa nella criminalità cercando di salvare il salvabile, mentre Luigi si arricchiva e diventava sempre più potente. La situazione era quindi ottima per Luigi ma, di riflesso, in parte anche per il conte; se non fosse stato per il suo aiutante sarebbe già finito strozzato dai debiti e probabilmente ucciso dalle organizzazioni criminali con cui era andato a scontrarsi. Era Luigi che riusciva sempre ad accordarsi con i nemici del suo padrone e a fare in modo che non lo distruggessero.
Era una simbiosi perfetta: il conte Alfio, incapace di gestire soldi e affari, faceva da copertura rispettabile e legale a Luigi, che invece aveva una grande capacità di muoversi nel torbido, e che a sua volta impediva al conte di rovinarsi con le sue stesse mani. Era una specie di osmosi: i soldi uscivano dal conto di Alfio e andavano in quello di Luigi; certo, non erano gli stessi soldi, ma il saldo rimaneva sostanzialmente in pari.
Ora, però, Melchit andava ad insidiare la possibilità di muoversi liberamente di Luigi: il conte era completamente assorbito dalla religione e dai lavori necessari per la costruzione dell'Osman, e pretendeva che Luigi collaborasse anche lui all'impresa. Tuttavia Luigi non era ammesso alle discussioni tra Alfio e Melchit, in cui si organizzava l'avvento degli alieni, piuttosto era utilizzato per le incombenze più semplici e più noiose. Luigi continuava così a rimanere alla mercè delle decisioni estemporanee del conte, aggiungendo anche le pazzie di Melchit, ma nello stesso tempo non aveva più la possibilità di organizzare le sue attività sotterranee e parallele.

Melchit ebbe altri incontri con gli alieni, in sogno, in cui si definirono meglio le modalità dell'incontro tra i munzaniani e la terra. Questi fecero alcune richieste che Melchit avrebbe dovuto soddisfare, ma non definirono con precisione la data del loro sbarco: era noto solamente che non sarebbe avvenuto prima del 2004. Le richieste ulteriori provenienti dallo spazio furono: gli Osman sarebbero dovuti essere tre, e non uno come sembrava all'inizio: oltre a Auckland dovevano aggiungersi Providenija e Torino; il giorno dell'atterraggio avrebbero dovuto fare trovare in ognuno dei tre Osman 300 migliaia di litri di birra Regent provenienti dalla Repubblica Ceca prodotta non più di un mese prima; nell'Osman di Torino dovevano realizzare una costruzione alta 180 metri realizzata interamente in conchiglie; per Providenija la richiesta degli alieni era di trovare la più grande collezione di bisante della Terra, oltre a una tonnellata di uova fresche di giornata al momento dell'atterraggio dell'astronave. Per Auckland le richieste furono più semplici: chiesero unicamente una serie di oggetti disparati ma di facile reperibilità: uno spelucchino, un'asparegiera, un trogolo, uno zaino rosso con intelaiatura di alluminio, una tenaglia russa, una piccamarra, un manichino per pittore, un rullo compressore, una bicicletta da corsa e un paio di stivali scamosciati neri. Ogni Osman doveva poi avere a capo un cane di razza Collie che doveva essere obbedito ciecamente da tutti gli operatori della struttura.

Il conte e Melchit passavano molte ore a discutere di religione e della vita davanti alla baia di Auckland. In genere si incontravano verso sera, entrambi attirati dalla luce del tramonto, si sedevano su una panchina e discorrevano placidamente. Poi arrivava Luigi, di malavoglia poiché non amava Melchit, e insieme andavano a mangiare in un ristorante italiano sulla baia. Al termine della serata, il giovedì, giocavano qualche partita di briscola con il padrone del ristorante emiliano che li raggiungeva al tavolo con una bottiglia di sangiovese. Bevendo e fumando tiravano fino a tardi.
Una sera, sulla panchina, Melchit si rivolse al conte Alfio.
- Di cosa era pieno il tuo tempo prima di incontrarmi? Ti sei tuffato nella mia causa come se non avessi dovuto abbandonare nulla.
Alfio sapeva che prima o poi sarebbe arrivata questa domanda, lo capiva da come Melchit non gli aveva mai chiesto nulla della sua vita precedente. Parlò per un'ora, e anche i giorni successivi: era un'ondata di ricordi che aspettava solo la piccola breccia di una domanda per potere uscire dalla mente del conte. Geraldine, i suoi genitori, le feste da ragazzino, l'assalto dei pirati al mercantile Ekymistus, l'intrusione nello studio del pittore, l'attentato che era stato obbligato a realizzare a San Paolo, l'incontro con Luigi: tutta la sua vita ammassata in uno scatolone in cantina e ritirata fuori, pezzo per pezzo, senza un filo logico. E un filo logico non c'era, o meglio c'era un filo ma non era logico.
- A raccontarti la mia vita, caro Melchit, capisco che tutto mi è sempre arrivato addosso, che io non ho mai fatto nulla per raggiungere un obiettivo, non ho mai dato una direzione alla mia vita, ma ogni mattina prendevo una direzione diversa e casuale. E tutto, le cose belle e le cose brutte, sono sempre state delle sorprese: non le ho mai cercate, non ho mai desiderato nulla. Solo parlando con te ho capito quanto mi mancava una direzione, e l'attesa di un'astronave extraterrestre è una bella direzione. Ora ho un obiettivo: attendere gli extraterrestri, conoscere Jim Morrison, stringere la mano a tuo padre. È come dici tu: non ho dovuto abbandonare nulla per diventare Figlio di Melchit.

Melchit qualche giorno dopo chiese al conte di andare prima a Providenija poi a Torino, per organizzare i lavori di realizzazione dei due Osman. Gli aveva anche chiesto di stare molto attento a Luigi, di mantenerlo sempre occupato nei lavori per la religione, poiché non potevano rischiare che i suoi progetti criminali diventassero noti e infangassero la religione dei Figli di Melchit, e gli impose di non mettere a conoscenza Luigi dei lavori futuri di cui sarebbe stato incaricato per i Figli.

Il conte si sentì come un potamotoco, un salmone che tornava dopo anni nel luogo natale. Lui non tornava per riprodursi, ma in qualche modo per permettere all'umanità di rinascere nuovamente, in una nuova società.

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Pubblicato il 21 ottobre 2009.

Parolata.it è a cura di Carlo Cinato.
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