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Giovedì briscola

Capitolo dodici, di Paolo Monterotti

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Fondare una nuova religione è di gran lunga più semplice che proporre una nuova teoria scientifica: lo scienziato pretende prove oggettive e incontrovertibili, il credente si accontenta di luminose speranze in cui riporre cieca fiducia.
Se ne accorse sulla propria pelle Aristide Bacci quando, emerso da un lungo sonno durato due mesi, cercò invano di convincere il mondo che non si era trattato di un banale coma indotto da un incidente automobilistico, ma di un lunghissimo viaggio nello spaziotempo, durante il quale aveva incontrato tra gli altri il padre defunto e l'ancor più trapassato Jim Morrison. Ascoltando le sue descrizioni vivide e ricchissime di particolari, i medici reagivano immancabilmente con un impercettibile scuotimento del capo e con un sorrisetto garbato ma scettico, passando subito dopo a prescrivergli ulteriori analisi psicofisiche e prolungamenti della degenza. La sua storia personale e quella della sua famiglia vennero meticolosamente passate al setaccio, alla ricerca di episodi di follia, allucinazioni e tossicodipendenza, mettendo in luce numerosi indizi che portarono alla diagnosi finale: una sindrome delirante, di natura presumibilmente passeggera, indotta dal trauma.
Un infermiere che aveva trascorso lunghi pomeriggi ad ascoltare, incredulo ma affascinato, i racconti di Aristide (ma guai a chiamarlo così, si rabbuiava rifiutando di proseguire la conversazione: ormai era divenuto Melchit e così pretendeva ci si rivolgesse a lui) e che coltivava l'hobby della lettura, gli sottopose "Mattatoio N.5" di Kurt Vonnegut, nella speranza che le analogie tra quanto sosteneva gli fosse accaduto e le peripezie di Billy Pilgrim (scampato a un disastro aereo grazie all'intervento di alieni provenienti dal pianeta Tralfamadore e divenuto poi abituale frequentatore dello spaziotempo) gli facessero ammettere l'assurdità delle proprie convinzioni. Ma il risultato fu esattamente l'opposto: Melchit interpretò l'intera struttura narrativa come una metafora della vita reale dell'autore, che del resto era miracolosamente sopravvissuto al bombardamento di Dresda, forse il momento più nero della Seconda Guerra Mondiale. Anzi, le sue convinzioni ne uscirono ulteriormente rafforzate, e fu proprio da quella lettura che ebbe l'idea di rinunciare a sostenere razionalmente le proprie tesi, ritenendo più opportuno e proficuo fare leva sull'innato bisogno della gente di credere in un mondo lontano e migliore, per quanto irrazionale possa essere.
Così Melchit (che si fece forza per tollerare che lo chiamassero di nuovo Aristide Bacci), ammise con i medici che tutto quel viaggiare nel tempo e nello spazio non poteva essere altro che il frutto della propria immaginazione, probabilmente suggestionata dalla lettura di troppi romanzi di fantascienza. E così Melchit, che aspirava a liberare il mondo tramite le verità di cui era portatore, ottenne la propria libertà rinnegandole e deridendole. Così va la vita. Appena uscito dall'ospedale cominciò a tessere i primi nodi della tela che doveva portarlo a realizzare il suo scopo: preparare il mondo all'incontro con la civiltà aliena di Melchit, dando inizio all'era della "Celestiale Armonia Galattica" che questi gli aveva promesso.

Per prima cosa decise di rimettersi in carne, dato che i tre anni di permanenza sul pianeta alieno e lo stress del viaggio di ritorno lo avevano reso magro come un'acciuga: fece ritorno in patria e si sottopose a una formidabile serie di pasti a base di amatriciana e cacciagione mista, generosamente innaffiati da Rosso delle Langhe.
Ma Melchit non si limitò a nutrire il proprio corpo, cominciando nel contempo ad affinare la propria mente. Da tutto il mondo fece arrivare ogni sorta di pubblicazione riguardante l'ufologia e i contatti con le civilizzazione aliene, bevendone avidamente il contenuto, cercando affinità e divergenze con l'esperienza che aveva vissuto in prima persona. Appena si sentì pronto cominciò a partecipare a tutti gli incontri di ufologi di cui gli giungesse notizia, facendosi ben presto notare per la lucidità degli interventi e l'ormai proverbiale pacatezza nell'esporre le proprie tesi anche agli oppositori più scettici. Non ci volle molto perché cominciasse a tenere lui stesso delle conferenze, assiduamente seguite da un manipolo sempre crescente di affezionati, che si entusiasmavano nell'ascoltare le sue dettagliatissime descrizioni dei vari aspetti del mondo che aveva visitato. Incontrò molte persone che come lui avevano avuto esperienze di viaggi nello spazio e nel tempo, e avevano visto mondi inconcepibili per gli umani. Si definivano "contattisti". Ritenevano di essere individui accuratamente selezionati dagli alieni per diffondere il messaggio di pace e fratellanza di cui erano latori e per preparare l'umanità alla sempre più imminente unificazione dei popoli galattici, che si sarebbe realizzata solo quando la maggioranza degli abitanti della Terra si fosse dimostrata pacifica e bendisposta nei confronti degli extraterrestri. Melchit divenne rapidamente il capo spirituale di questa schiera di novelli profeti e si prodigò per fornire una solida base spirituale e materiale alla congrega che si andava rapidamente formando intorno a lui. Per allargare la propria sfera di influenza (e per incrementare le entrate economiche necessarie a progettare e allestire la base aerospaziale dove accogliere gli alieni) fece numerosi viaggi all'estero; ottenne soltanto tiepidi successi finché in Francia non entrò in contatto con un ex-giornalista (anche lui reduce da ripetute esperienze con le menti aliene) che stava mettendo in piedi un'organizzazione analoga alla sua.
L'incontro non dette i risultati sperati: dopo un'automatica empatia iniziale, tra i due nacquero dissidi che si rivelarono ben presto insanabili e sfociarono in una lite furibonda, in cui l'uno accusò l'altro di voler sfruttare per il proprio tornaconto l'enorme compito di cui erano stati investiti. L'auspicata fusione delle due nascenti religioni non avvenne mai; anzi, i due gruppi presero a rivaleggiare, contendendosi ferocemente e senza esclusione di colpi una dubbia credibilità e un numero sempre crescente di proseliti.
Ma per Melchit quell'incontro/scontro non fu affatto un'occasione perduta e gli suggerì invece la mossa vincente per i suoi propositi: decise di mutuare, ampliandolo, il metodo usato dal francese per dare alla sua setta la massima visibilità.
Dopo un'attenta riflessione scelse gli Stati Uniti, terra mediaticamente più avanzata e sicuramente fertile terreno per le sue idee, come punto d'inizio per la folgorante ascesa che nel giro di pochi anni avrebbe portato l'astro dei "Figli di Melchit" a brillare al vertice del contraddittorio firmamento delle religioni "tecnologiche".
Col senno di poi si potrebbe dire che Melchit ebbe fortuna, ma senza dubbio gli va dato atto che scelse con cura il luogo e il momento ideali per mettere in atto il proprio piano, e che seppe interpretare al meglio le necessità spirituali della propria epoca.
Infatti giunse in America proprio mentre lo scandalo dell'arancione Osho giungeva all'apice e una vasta folla di adepti disillusi si ritrovava orfana di una guida spirituale a cui affidarsi. Inoltre, il diffondersi sempre più vasto e incalzante delle nuove tecnologie informatiche spersonalizzanti cominciava a insinuare una serpeggiante inquietudine nell'animo delle masse.
Un profeta tecnologico che parlava di armonizzare le proprie esistenze con un'avanzatissima società aliena non poteva passare inosservato, nemmeno nel rutilante e variegato folclore delle religioni made in U.S.A.

Melchit fece in modo che a ognuna delle sue apparizioni pubbliche fosse presente un gruppetto di contestatori prezzolati che, organizzando tafferugli e picchetti fuori dalle sale in cui esponeva le proprie tesi, gli fece guadagnare piccoli spazi nelle cronache dei giornali locali. Questi spazi diventarono sempre più ampi col ripetersi degli incidenti: ben presto l'America dovette confrontarsi col controverso fenomeno Melchit, e l'uomo venne invitato a sostenere le proprie tesi nell'importante talk-show di una rete nazionale.
La trasmissione si svolse in un clima tutt'altro che neutrale, ma fu al contrario una specie di gogna mediatica: il fisico presente in studio liquidò la sua pretesa di aver viaggiato nel tempo e nello spazio, definendola ridicola oltre che impossibile; lo psicologo dimostrò che allucinazioni come le sue erano molto molto comuni tra chi usciva da un periodo di coma e gli consigliò senza mezzi termini di entrare in terapia per liberarsene; un prelato spiegò che tali congetture religiose erano contrarie alle Sacrosante Scritture e portavano alla perdizione dell'anima; il comico si presentò con indosso un copricapo dotato di antenne verdi e gli chiese più volte con voce gracchiante di condurlo dal proprio capo. Ma a Melchit non interessavano le persone presenti in studio: contava sul fatto che se una percentuale anche minima dei milioni di telespettatori che seguivano il programma si fosse incuriosita e avesse voluto saperne di più sul suo conto, avrebbe centrato il suo obiettivo. Per questo il numero telefonico del centro informazioni dei "Figli di Melchit", allestito appositamente per l'occasione, faceva bella mostra di sè, in grossi caratteri rassicuranti sulla maglietta che indossava.
Già durante la prima interruzione pubblicitaria le linee cominciarono a squillare, anche se per lo più si trattava di telefonate di scherno da parte di scettici buontemponi, con un'evidente tendenza al turpiloquio. Durante la seconda, le chiamate si moltiplicarono e aumentò il numero delle persone realmente interessate a saperne di più. Ma l'apoteosi, che portò al blocco temporaneo del centralino, si raggiunse durante la terza pausa, successiva all'intervento del prelato, che aveva sostenuto l'unicità della razza umana nell'universo. Evidentemente, il pensiero di essere soli nel cosmo aveva acceso in molti il desiderio di conoscere l'uomo che diceva di poter dimostrare il contrario.
I telefoni continuarono a squillare per giorni, e le successive conferenze di Melchit, tenute ormai in prestigiose sale capienti nelle maggiori città, si risolsero in un pacifico tripudio di folla, senza che giungesse notizia di incidenti o contestazioni.

Per Melchit iniziarono lunghi e felici anni da messia di successo: ebbe dapprima uno spazio su un canale televisivo, poi una stazione tutta sua da cui diffondere il proprio messaggio di speranza; scrisse con discreti risultati editoriali due libri sulla sua esperienza extraterrestre e, sotto pseudonimo, un manuale su come fondare una religione di successo; ideò un rito, a metà tra un concerto rock e un incontro di meditazione, per cementare il legame con i suoi fedeli; comparve sulla copertina di Time con una sgargiante tunica blu e indaco foderata di rosa (The It-Alien Ambassador Speaks); il fondo monetario dei Figli di Melchit, destinato alla costruzione della base di atterraggio per l'ambasciata aliena, si fece via via sempre più cospicuo.
Da un punto di vista morale, Melchit fu ineccepibile: non toccò mai un soldo delle donazioni che giungevano alla sua organizzazione, visse di una parte infinitesimale dei diritti d'autore dei libri e, in netta contrapposizione con il trend del settore, non pretese favori sessuali dalle sue fedeli. L'unica mollezza che si concesse fu quella di fare installare, nell'angusta saletta nella quale si ritirava per prendere le decisioni più importanti, un impianto stereo di altissima qualità e la collezione completa dei vinili dei Doors, dalla quali traeva consiglio e conforto nei momenti più impegnativi. Del resto per lui sentire la voce di Morrison era come dialogare nuovamente con il padre che credeva di aver perduto, e che ora attendeva su un lontano pianeta di potersi riunire a lui, appena i tempi fossero stati maturi. Fu proprio durante uno di questi ascolti rituali che comprese come il momento di passare all'azione fosse giunto: i versi del Dio Lucertola, complice forse la mescalina che assumeva per sentirsi più vicino alla sua guida spirituale, gli dissero che era tempo di cominciare a cercare il luogo ideale per ricevere la legazione aliena.
Nelle settimane successive Melchit mise in liquidazione tutte le proprietà immobiliari e i pacchetti azionari appartenenti alla setta, nominò un vicario che continuasse l'opera di proselitismo e gli fornì le linee guida da seguire durante la sua assenza. Una volta accertatosi che l'organizzazione era in grado di procedere senza la sua costante supervisione, prenotò un volo di linea per Auckland.
Scelse la Nuova Zelanda come prima tappa della sua ricerca perché dai paesaggi che aveva ammirato in foto gli pareva la terra che più si avvicinava allo splendore del lontano pianeta che aveva visitato, riproducendone fedelmente la dolce asprezza e gli spazi incontaminati.
L'uomo che sbarcò in quella terra australe agli inizi del 1991 aveva ormai ben poco in comune col vecchio Aristide Bacci. Ricordava anzi con fastidio quella sua precedente esistenza trascorsa nell'ignoranza: attraverso una grande sofferenza personale si era affrancato dalla semplice forma umana ed era divenuto il punto di riferimento di una delle più evolute specie che popolavano l'universo, aveva al suo seguito un numero sterminato di fedeli pronti a eseguire ogni sua volontà e, particolare tutt'altro secondario, era in possesso delle chiavi di accesso di uno dei più ingenti patrimoni liquidi mai accumulati sul pianeta Terra.

Scese dall'aereo a grandi passi e si guardò intorno sorridendo soddisfatto. Il momento più cupo della sua esistenza stava per chiudersi in via definitiva: era giunto nella terra dove avrebbe potuto infine riabbracciare suo padre e condurre l'umanità verso l'era della Grande Fratellanza Galattica.
Il tempo era giunto.
Doveva soltanto trovare il posto adatto.

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Pubblicato il 16 settembre 2009.

Parolata.it è a cura di Carlo Cinato.
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