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Esercizi di omicidio, capitolo due

di Giovanni Fracasso

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A Sviatoslav Vinorov non era mai riuscito di amare i francesi, la Francia, né tantomeno Parigi, sebbene vi avesse luogo ormai da tempo una parte sempre più rilevante dei propri affari.
Stava passando sotto l'arco de La Defénse quando questo pensiero lo colpì: a molte delle città dove aveva amici o affari si era affezionato, come Barcellona o Berlino; a molte altre si era abituato fino all'indifferenza, come Londra o Vienna; Parigi, però, gli riusciva irrimediabilmente indigesta.
- Dovrei parlarne con De Romémont -, si disse, mentre saliva sulla Citroèn scura che lo aspettava parcheggiata nella piazza deserta delle dieci di sera. Non si fidava dei mezzi pubblici, preferiva la sua macchina blindata. Come non si fidava delle vie affollate, dove un malintenzionato si può nascondere troppo facilmente. Così entrava e usciva dal suo ufficio solo molto tardi o di prima mattina.
La macchina partì senza fretta ed infilò l'Avenue Charles de Gaulle, diretta verso il centro; pochi istanti dopo svoltò a destra per prendere la Periferique.
Olivier de Romémont attendeva il suo socio di fronte all'ingresso della Tour de Montparnasse: aveva prenotato la solita saletta al ristorante del cinquantaseiesimo piano, dove avrebbero potuto passare un paio d'ore indisturbati. Puntuale come al solito, la Citroèn di Vinorov si fermò di fronte all'ingresso di Rue du Depart; il passeggero, appena sceso, individuò subito il suo ospite, gli rivolse un quieto sorriso e si incamminò verso di lui.
Vinorov non esagerava mai, pensò De Romémont, stringendogli la mano, men che meno con i convenevoli, ma quella sera percepì in lui qualcosa di strano, come un'insolita fretta. - Sviatoslav, vogliamo andare? - si sbrigò a dirgli; - Con piacere - gli fu risposto.
In pochi minuti furono a tavola, e la cena fu servita.
- Amo questo locale, soprattutto alla fine dell'anno - diceva De Romémont, con aria vaga. - Vero, le decorazioni natalizie sono davvero splendide e di buon gusto, come d'altronde il menu. - replicò Vinorov, che in realtà non apprezzava molto la nouvelle cuisine.
- Ah, io detesto Parigi - , uscì a sorpresa De Romémont, - ma nel suo cielo si mangia sempre bene - era un gioco di parole un po' banale sul nome del ristorante "Le Ciel de Paris", dove stavano cenando a 200 metri d'altezza.
- Davvero detestate Parigi? Un rampollo dell'aristocrazia francese come voi? Dovete essere un caso disperato!
- Nemmeno per sogno, amico mio, io sono marsigliese e Marsiglia è piena di gente che considera i parigini dei presuntuosi pederasti!
Vinorov ridacchiò con aria soddisfatta, e De Romémont giudicò di averlo messo di buon umore: così si risolse a parlare finalmente di affari.
- Allora Sviatoslav, concluderemo? - ammiccò.
- Se vi riferite a quella piccola faccenda della Total, sono certo di sì; entro la fine della settimana ne avrete la conferma,
- E il dividendo?
- Se fate invece riferimento all'operazione dell'Établissement, sono io a chiedere a voi. - terminò Vinorov, che odiava essere interrotto. - Quanto al dividendo - riprese - il pagamento è previsto al trentuno dicembre; riceverete il vostro denaro con i consueti ritardi dei trasferimenti internazionali.
- Grazie, amico mio - De Romémont sorrise con sincero sollievo: - L'affare dell'EPAD procede, il consiglio di amministrazione ha approvato la proposta di Bled, ma ora il progetto è all'esame delle istituzioni.
- Questo lo so anch'io, Olivier, non giriamo intorno al problema - il sorriso dell'altro congelò. - Dobbiamo scoprire in anticipo che aria tira alla Municipalitè!
De Romémont sapeva benissimo che cosa intendesse il suo interlocutore con "scoprire in anticipo", e non aveva buone notizie. Decise di andare direttamente al punto.
- Hanno deciso di non decidere. Passeranno la competenza allo Stato: sarà il governo a stabilire la fattibilità. - disse tutto d'un fiato.
- Scopriremo in anticipo anche le intenzioni del governo - , replicò freddamente Vinorov.
- Ma. il governo. sarà tutto più difficile! Come faremo a corrompere. a raggiungere.
L'altro sorrise, finalmente in modo disteso. - Olivier, amico mio, non alzate il prezzo. Ci sono le elezioni, ed i candidati all'Élysée hanno bisogno di aiuto. E poi, perché usare quel brutto verbo. io non ho mai corrotto nessuno.
Tu no, pensava De Romémont, tu il lavoro sporco lo fai fare agli altri. Poi ad alta voce, con tono preoccupato: - Ma come faremo a puntare oggi sul candidato vincente? I sondaggi danno Ségolène e Sarkozy praticamente alla pari.
- E noi punteremo su entrambi!
- Ci costerà un'enormità!
- Ma renderà, Olivier, renderà molto, molto di più dei soliti affari. Suvvia, amico mio, non sottovalutatevi: avete molti mezzi, e molti modi. Non fallirete, ne sono certo.
- E sia, mi avete convinto. - disse De Romémont, che in cuor suo esitava ancora.
- Non avevo dubbi; domani passerà da voi Bruno per i dettagli, così potrete mettervi subito all'opera.
Come se fosse semplice, pensava De Romémont, contattare i tesorieri dei due partiti, offrire denaro e appoggio mediatico, assicurarsi che i candidati lo venissero a sapere, incontrarli entrambi, discutere la questione, farsi fare promesse, metterli in condizione di doverle rispettare in caso di elezione. il tutto due volte, separatamente e sotto due identità diverse! Non erano certo tutti sprovveduti, nelle segreterie di partito.
Bah, al diavolo, ci avrebbe provato. E ci sarebbe riuscito, come sempre. In parte lo consolava il pensiero che domani avrebbe ricevuto in ufficio Bruno con i suoi "dettagli": contanti per un paio di milioni di euro, tanto per cominciare.

Era passata da poco la mezzanotte e Vinorov passeggiava per Boulevard de Montparnasse, seguito a debita distanza da tre persone vestite interamente di nero, cravatta ed occhiali inclusi. De Romémont una volta gli aveva fatto notare che i suoi uomini erano fin troppo evidenti, nel loro aspetto da guardia del corpo: troppo in contrasto con la sua eleganza misurata, i suoi gessati blu o grigi chiari, le sue cravatte color argento, gli addetti alla sicurezza sembravano usciti da un film di Quentin Tarantino.
Tanto meglio se si notano, aveva pensato lì per lì Vinorov, ma subito dopo aveva istituito un reparto speciale, "in abbigliamento mimetico", come diceva Baptiste Luciani, il corso a capo della sua sicurezza.
Maman Maria, si chiamava il locale davanti al quale si fermò, una delle tante pizzerie più o meno italiane che costellavano il boulevard - e affliggono come una peste mezzo mondo - pensò Vinorov entrandovi, preceduto da due dei suoi incravattati neri.
Dentro non c'era molta luce, ma si notava, illuminata sullo sfondo, una bandiera bianca con al centro una testa di moro bendata. Restò immobile per qualche istante di fronte al bancone, poi un avventore si mosse verso di lui.
- Lascia liberi i ragazzi, Sviato, qui sei tra amici! - esclamò con voce gioviale l'uomo, quasi calvo, dai rigogliosi baffoni neri.
- Grazie, Baptiste, ne ho proprio bisogno, di amici.
- Non scherzare, tu hai un sacco di amici in giro per il mondo, tutti ricchi e potenti.
- Ma posso fidarmi solo di quelli che ho su un'isoletta nel mediterraneo, lo so, finisci sempre per dirlo.
- Se ti sento ancora chiamare isoletta la Corsica puoi dare l'addio alla mia amicizia!
- Va bene, va bene, allora, "Sa Corsica Nazione", mi offri una pizza?
- Hai fame? non hai cenato a Le Ciel de Paris? - Baptiste sembrava divertito.
- Senti, Baptiste, il tuo umorismo da prete mi innervosisce e lo sai. Sai anche perfettamente che mezzo branzino con marmellata di fichi non sazierebbe nemmeno un canarino, figurarsi me alle dieci di sera; infine sai pure che la cucina parigina mi sta, per così dire, sullo stomaco, un po' come Parigi, d'altronde.
Baptiste sorrise: - Non dirmelo, a me sta sullo stomaco tutta la Francia con quello che contiene.
- Ecco, anche a me. Allora, fammi portare una pizza e un po' di salumi corsi. E adesso, al lavoro.
Si sedettero in un tavolino nell'angolo più lontano dalla porta e quando Letizia, la figlia più giovane di Maman Maria, servì loro la cena, Vinorov attaccò la pizza con buon appetito. Bapiste invece non riusciva a distogliere lo sguardo dalla ragazza, che stava tornando al bancone.
- Smettila, vecchio satiro, potrebbe essere tua figlia. - fece Vinorov
- Ma tu hai visto che fondoschiena? Musica per gli occhi di qualsiasi uomo!
- Lascia perdere. È per domani, allora?
- Sì, domani alle cinque del pomeriggio - Baptiste si fece serio e, in un certo qual modo, professionale.
- Sei certo che funzionerà?
- Come sempre.
- Non abbiamo mai tentato una cosa così pericolosa. Pericolosa per me, almeno.
- Non dirlo a me. L'hai voluta fare tu, io non sono mai stato d'accordo.
- Già.
- Non c'è nessun bisogno che tu ti esponga personalmente.
- Lo so.
- Sviatoslav, se hai cambiato idea io ho pronto il piano B.
- Non ti ho mai detto di predisporre un piano B.
- Ma io l'ho fatto ugualmente. Ed anche un piano C.
- Credi che abbia paura?
- Certo che hai paura, non sei mica pazzo. Se vuoi correre il rischio di essere fatto fuori, avrai le tue buone ragioni.
- Ho sempre le mie buone ragioni, Baptiste, spero che questa volta siano buone a sufficienza
- Ascolta, Sviatoslav, quali che siano le tue ragioni, buone o pessime, funzionerà. Se non altro perché nessuno penserà che tu sia così pazzo da correre un rischio simile. Abboccheranno.
- E il nostro uomo?
- È in hotel, e non sospetta di niente. Lo faremo uscire quando tu te ne sarai andato. Ti aspetterà al Trocadero.
- Abboccheranno, dici tu. Ma non sono degli sprovveduti.
- No davvero, ma io ho disseminato tutta la città di false piste. Tengo sotto controllo tutte le stazioni del Metro e della RER. Ho imbastito la storia del viaggio premio nei minimi particolari. E poi loro hanno scelto un novellino.
- Un novellino?
- Uno che non conosciamo. Nessuno lo conosce, nel settore.
- Giovane?
- Non troppo. Sulla trentina. Ma è un pivello, si muove goffamente, è prevedibilissimo.
- Non sottovalutarlo. E non sottovalutare i nostri nemici. Potrebbe essere un tranello. Magari è solo uno di tanti mandati a farmi fuori. Il più maldestro, così non noteremmo gli altri.
- Stavolta mi offendi sul serio, Sviatoslav. Ho mai sottovalutato una minaccia? Ho mai sottovalutato una persona?
- No, scusami. Davvero. Mi fido di te. Tu sei il migliore.
Vinorov sorrise stentatamente. Domani si sarebbero decise molte cose, se andava bene. O forse tutto, se andava male.
- Come vuoi che ci comportiamo, dopo? - Chiese Baptiste.
- Non fare niente. Niente che li faccia pensare che sappiamo. Tienili d'occhio e basta. E naturalmente scopri dove andrà a nascondersi il pivello.
Vinorov salutò Luciani, si alzò da tavola e andò verso l'uscita. Subito i suoi uomini lo seguirono. Gli si fece incontro Letizia, porgendogli il cappotto blu; lui lo indossò, poi estrasse da una tasca interna una banconota e la diede alla ragazza, che gli regalò il suo miglior sorriso.
- Stai attenta a Baptiste, quello non ti stacca mai gli occhi di dosso! - Le sussurrò, ricambiando il sorriso di lei con uno dei suoi, a mezza bocca.
- Ma signore. è mio zio! Dice che mi sta cercando un buon marito, ma non mi lascia mai avvicinare da nessun uomo.
- Bastardo di un corso! - disse Vinorov, ridendo di cuore. E si avviò, con l'animo appena un po' più lieve, nella notte di Parigi.

L'indomani mattina le guardie del corpo di Vinorov lo attesero inutilmente nella hall. Apparentemente aveva deciso di rimanere nel suo appartamento e non andare nel suo ufficio a La Defènse, il che per gli incravattati era un fastidio: il Marriot di Boulevard Saint Jacques era un albergo molto grande, con un grande traffico di uomini d'affari e turisti, quindi difficile da sorvegliare. Ma Vinorov lo aveva scelto proprio per quel motivo.
Nessuno infatti, tranne gli incravattati, si accorse della donna che salì in camera dal loro padrone: una signora di mezza età senza nessuna particolare attrattiva, dall'aria dimessa, ma seria. La lasciarono passare senza nemmeno fermarla, quando passò di fronte ad uno di loro bisbigliando la parola d'ordine.
Trascorsero poi diverse ore, durante le quali i gorilla si chiesero che cosa mai stesse capitando nella suite del padrone. infine la signora uscì, in fretta come era entrata. Nulla accadde fino alle 16 circa, quando Baptiste arrivò. Costui poco dopo li fece entrare ed accomodare in un salottino. Non si accorsero della figura che stava uscendo silenziosa dall'ingresso della suite.
La truccatrice aveva fatto davvero un lavoro portentoso, si disse Vinorov. Non smetteva mai di guardarsi, riflesso nei finestrini della Metro. Era stato facile, pensò. Impossibile riconoscerlo, con quei folti capelli scuri, la barba tinta di nero, i denti posticci, la carnagione olivastra. sembrava un opposto di sé. Dov'erano finiti i sottili capelli biondo cenere, il colorito smunto, gli occhi grigio ghiaccio? Di certo anche l'abbigliamento faceva la sua parte. Tutti abiti sportivi inglesi, che non avrebbe mai indossato nella vita "vera". Scarpe americane, da boscaiolo. Ridicole. Ma comode, in effetti. Sarebbe bastato questo a salvargli la pelle?
Andava tutto bene. Per la prima volta dopo molti anni si era mischiato alla folla. Quella dell'ora di punta, sulla trafficatissima linea 6 della Metro di Parigi. Senza scorta. Andava tutto bene. A parte il fatto che aveva nausea. Sarà la gente, si disse, c'è troppa gente.
No, è questa maledetta città. La odiava. Davvero.
Ma intanto doveva ammettere che le cose stavano funzionando come previsto. Per forza. Baptiste sapeva il fatto suo. Nessuno si era accorto del trucco. Nemmeno le sue guardie del corpo. Non che non si fidasse di loro, ma aveva deciso di non lasciar trapelare nulla a nessuno. Come per fare un test. Bene, l'esito era positivo. Fin qui.
Perché poi avesse deciso di esporsi in questo modo, non lo sapeva spiegare razionalmente neanche lui. Potevano esserci altre soluzioni, Baptiste gliene aveva prospettate almeno una decina, tutte meno pericolose. Era forse per dimostrare che alla sua età gli era rimasto il fegato di fare certe cose? Ma dimostrare a chi, poi? O forse perché sentiva che per vincere una posta così grande doveva offrire un rischio altrettanto grande? Ma offrire a chi, poi? Non lo sapeva. Di certo l'incredibile fortuna che gli si era prospettata pareva un segno del destino.
In fondo Vinorov si sentiva bene. Appena un po' più ansioso del solito: aveva temuto di peggio. Per questo si era portato la calibro nove. Non sarebbe servita a molto, se lo avessero scoperto. Ma gli dava tranquillità. La sentiva premere sotto l'ascella, ingombrante, fredda e potente. Un ottimo ansiolitico. Scese dalla Metro e uscì all'aperto alla Defense. Lì, se il piano funzionava, avrebbe incontrato sé stesso.

Dalla stazione Defènse emersero, passeggiando insieme, due uomini male assortiti tra loro: uno vestito con sobria eleganza, l'altro in abiti sportivi; uno di carnagione chiara, l'altro di pelle olivastra; uno biondo con occhi chiari, l'altro scuro di capelli e iride.
Non smisero di parlare fra loro, mentre quello in abiti sportivi gli indicava il grande arco di Von Spreckelsen, gesticolando vistosamente.

Passarono sotto l'arco, dirigendosi verso il palazzo dell'EDF. Camminavano lentamente, ed impiegarono parecchi minuti ad attraversare tutta la spianata. Vinorov stava dicendo, quasi declamando - Oggi questo quartiere è il più grande centro direzionale di tutta Europa, ci sono due nuovi grattacieli in costruzione ed è stato approvato il progetto di costruire 850 mila nuovi metri quadri di uffici e 100 mila di abitazioni. - Il suo elegante interlocutore annuiva, con fare misurato, forse un po' annoiato. Il polso di Vinorov accelerò ancora. Niente, non succedeva niente.
Eppure tutto era come previsto. Gli aveva offerto l'altro sé stesso come su un piatto d'argento. Senza scorta. In mezzo alla piazza affollata. Doveva funzionare. Forse. Avevano mangiato la foglia? Sapevano del sosia? E se sì, sapevano anche del travestimento? Avrebbero quindi ucciso lui?
Per la prima volta dopo molti anni temette per la propria vita.
Poi vide una persona farsi incontro ad entrambi. Un uomo sulla trentina. Teneva lo sguardo fisso in terra, come fingesse di non notarli. " È lui!" Trasalì tra sé. Il cuore sussultò, ma fu l'unico suo moto. Tutto si fermò. Il rumore incessante della piazza pareva essersi spento in un completo silenzio.
D'un tratto Vinorov capì che sapeva perché odiava quella città. Perché, in un modo o nell'altro, a Parigi oggi lui sarebbe stato ucciso.
Capì anche perché stava, contro ogni logica, correndo quel rischio estremo. Aveva voluto per sé la chance di vedere in faccia il suo assassino, prima di morire.
O di sopravvivere.
E, per gli dei, in entrambi i casi ne era valsa la pena.

 

Capitolo 3.

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