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Giovedì briscola

Capitolo tredici, di Fosca Medizza

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In Colombia Ernesto non ebbe mai il tempo e la voglia di recarsi a Cartagena per incontrare Gabriel Garcia Marquez, in compenso trascorreva a Medellin il suo tempo libero fra il Museo de Antioquia e Plaza Botero: qui spesso mangiava qualcosa seduto su una panchina posta di fianco ad un'opera dell'omonimo Maestro, la Cabeza, una testa enorme che non gli piaceva affatto ma gli faceva ombra mentre addentava salsicce fritte.
Il suo compito si era rivelato sin dal primo giorno un lavoro di routine: recatosi al vecchio Aeroporto Olaya Herrera, una valigia lo attendeva a sinistra della cassa del bar, ritirata la valigia, la consegna del prezioso carico avveniva nel luogo di volta in volta indicato su un post-it all'interno del manico.
Mai un pedinamento, mai un problema né un attimo di paura.

In dieci anni erano cambiate molte cose in quella sorta di vita posticcia e necessaria: non era più un italiano, non era più un anarchico, non era più un uomo libero, non era più un tossico.
Era solo un "senza terra" che aspettava la fine di quello stato, forse la morte lo avrebbe liberato un giorno all'improvviso e non per faide interne ai gruppi di spaccio, magari lo avrebbe fatto fuori un geranio caduto da un balcone... che belli i gerani rossi che addobbavano le case! Aveva una passione per i fiori e specialmente per le orchidee, fu felice di recarsi all'inaugurazione nel 1978 del Jardin Botanico, non aveva mai visto un giardino con tante specie di alberi e piante ed erbe e quell' Orquideorama che ospitava una mostra incantevole dei suoi fiori prediletti.
Geraldine amava le orchidee. Guardava i sepali di un'orchidea screziata, quasi ali di una farfalla forte e in quell'attimo vide le mani di Geraldine che si avvicinavano. "Geraldine, sei morta per Linetta, ma Linetta era solo uno scherzo mentale, un tramite politico, un gioco per tenere acceso un pensiero, un'invenzione. Tu che ti davi ad Alfio ogni sera, non hai sopportato che io scrivessi, scrivessi soltanto, ad un'estranea. La parola Amore, usata solo per celia, ti ha fatto sentire tradita... Tu e solo tu, eri il mio amore... Che universo sconosciuto ed incomprensibile quello delle donne" pensava Ernesto lasciando quel paradiso e lasciando Geraldine china a carezzare le sue orchidee. La ritrovò poco dopo rientrando a casa, sul suo comodo lettuccio di lattice; la trovò nuda, bellissima, fra le gambe una cattleya rosa, il clitoride come un labello ad invitare il polline, un petalo denso e tondetto, turgido, lucido, da sfiorare a lungo con la lingua fino a sentirne il sapore.
Ernesto sentì quel sapore, sentì Geraldine che bisbigliava in francese sul suo collo, nessuna delle donne che aveva incontrato, prostitute o ragazzine sensibili al fascino della sua testa brizzolata o del suo portafogli rigonfio, aveva spento il ricordo delle sue morbide cosce e dei suoi capelli corvini, lindi come un mattino chiaro dopo la bufera di vento.

L'esilio in Colombia si concluse inaspettatamente dopo un decennio di attesa silenziosa e paziente.
Fu Tony a dargli la notizia al telefono, senza preavviso: - Domani tu torni a casa; tutto sarà tranquillo, hai pagato il tuo conto, ti sostituirà un uomo più giovane.
Dunque, Torino in libertà. La trattoria di un tempo sotto i portici sempre grigi e ventosi. Nessuno in città gli fece troppe domande, la versione ufficiale lo vedeva rientrato dopo un decennio di lavoro in una grande tipografia informatizzata.
Coi soldi che aveva messo da parte aprì un localino vicino la facoltà di Lettere, era un'idea nuova: aveva disposto dei tavolini attorno ai quali consumare una bibita, una bella libreria con dei libri da sfogliare, una sorta di "caffè letterario" dove chiunque poteva utilizzare il computer per comporre la propria tesi. Iniziò con quattro postazioni che presto divennero sei e poi otto. Aveva inoltre imparato ad utilizzare un nuovo programma chiamato PowerPoint che metteva insieme immagini e scrittura come per magia. I lavori risultavano brillanti, pieni di foto, impaginati come libri d'autore. I laureandi erano sempre estasiati di fronte alla maestria di Ernesto nell'utilizzo di quello strumento miracoloso.
Assunse anche un'aiutante, una studentessa della vicina facoltà che aveva un buon cervello e tette grandi. Si chiamava Giovanna, veniva dalla provincia, era dolce e gentile con tutti, con Ernesto in modo particolare. Quando arrivava l'orario di chiusura si fermavano a raccontarsi qualcosa della giornata trascorsa e ridevano; dunque si poteva ancora ridere forse e deporre in un cassetto remoto della memoria tutto il tempo perduto.
Una sera lei si avvicinò a baciarlo, Ernesto che aveva solo scopato in quegli anni, non ricordava più la morbidezza di un bacio e seppe solo dire: - Giovanna, cosa vuoi da me?
- Voglio un bambino - rispose lei, sfoderando il suo irresistibile e convincente seno bianco. Venne invece una femmina, Adele; il maschio arrivò quattro anni più tardi, lui volle chiamarlo Gerardo. - Ma è un nome da vecchio - diceva Giovanna - non è adatto ad un bambino.
Ernesto volle chiamarlo Gerardo, perché il suono di quel nome gli ricordava un altro nome: Geraldine.
Gerardo nacque il 16 gennaio di quell'anno, il 1991, mentre il mondo guardava attento i primi cadaveri lasciati al suolo dalla Guerra del Golfo che aveva appena avuto inizio.
Nella clinica in cui era venuto al mondo suo figlio, la povera Giovanna era l'unica ad occuparsi di quella nascita, il resto degli umani era incollato alla tv, catturato dai bombardamenti di una notte di guerra, lo stesso Ernesto era stato più attento forse alle manovre militari statunitensi che alle sue doglie... ma si sa, gli uomini da che mondo è mondo sono stregati dalle battaglie.
A differenza della prima maternità, stavolta Giovanna aveva latte in abbondanza per allattare il suo piccolo; il suo seno generoso nelle forme, si rivelò altrettanto generoso nella sostanza: produceva decilitri di nutrimento ogni due ore ed offrire le mammelle alla sua creatura le dava la sensazione di poter continuare ad avere un rapporto fisico stretto che recuperasse il taglio del cordone ombelicale. Difficile staccarsi dai figli quando li metti al mondo, difficile sempre staccarsi dai figli.

Ma se Giovanna copriva con dedizione il suo ruolo appagante di madre, Ernesto subì invece una metamorfosi: il corpo della moglie non gli interessò mai più sessualmente, quel seno che lo aveva sempre eccitato per le dimensioni e per la morbidezza divenne ai suoi occhi solo fonte di cibo per il loro cucciolo. Non riusciva a dare una spiegazione razionale a questo suo sentire, ma Giovanna era ormai solo una mamma, non la desiderò mai più come una volta. Le parole placenta, utero, gestazione, liquido amniotico, ghiandola mammaria, avevano sostituito altre parole ben più stimolanti che non tornarono mai più alla sua mente quando pensava a Giovanna.
Fu il Web ad appagare i suoi appetiti erotici. Smanettando fra i siti porno aveva trovato pane per i suoi denti: centinaia di donne di tutte le razze e di tutti i colori si offrivano ai suoi occhi a tutte le ore, a comando, per sparire quando lui se ne fosse stancato.
Sapeva che pigiando su un tasto sarebbe apparsa una bionda ucraina con lo slip nero di pizzo e che quello slip sarebbe stato sfilato da quelle dita eleganti con le unghie smaltate, e che sotto quel merletto c'era della carne segreta e che quella carne sarebbe stata offerta alla sua vista così da vicino da delinearne il più piccolo dettaglio. Era come stare dentro una camera privata, dove la donna che lui voleva poteva essere sua.
Non poteva toccarla, certo, ma non faceva differenza. Scegliendo il filmato giusto, si poteva avere un uomo lì con lei, ed era lui a fare la parte di Ernesto: lui la spogliava, le apriva il corpo come si fa con un fico fresco, un frutto bagnato e pulito era lì subito disponibile, nessun sudore e al minimo movimento di quella polpa, gli occhi trasferivano al cervello un frenetico piacere che cresceva fino a divenire incontenibile.
Godevano insieme, tutti e tre; dopo pochi minuti di bocca arsa ansimando, i loro liquidi si mischiavano fra il virtuale ed il reale, orgasmi lunghi e sfinimento che trasudava lussuria attraverso la trama fitta e penetrabile della rete globale. Tutti e tre smettevano insieme di volare e, zitti, si posavano al suolo dopo avere toccato cumuli di nembi mossi da una vertigine.
A volte non riusciva ad aspettarli e raggiungeva da solo la pace del suo cuore in tumulto, mentre quei due continuavano a penetrare e a farsi penetrare. Allora spegneva il monitor e li mandava al diavolo.
Fu così per sempre.
Il suo mondo divenne quello delle conversazioni erotiche, entrava di continuo nelle sue stanze segrete fra un lavoro ed un altro, pensando di essere fortunato ad avere scelto un mestiere che lo teneva davanti a quel monitor.
Una tesi su Kant ed un coito con Helga.
Una tesi sulla Neo Figurazione Anarchista nell'arte contemporanea ed un'occhiata a Natasha che si fletteva a mostrargli la vulva depilata.
Una tesi sulle Donne e l'Amore nelle opere di Manzoni ed una masturbazione continuamente interrotta perché si prolungasse, guardando Peter che sferrava i suoi colpi dentro Hanna.
Le amava proprio tutte... ma si sa, gli uomini da che mondo è mondo sono stregati dalle puttane.
Quando entravano studentesse a chiedere quanto costasse la battitura di una tesi, Ernesto non riusciva più a guardarle come donne che studiano e lavorano e poi tornano a casa e preparano la cena, ma le guardava come potenziali pornostar: le immaginava sui letti a cui si era abituato e le spogliava come avrebbe fatto Peter. Loro non si negavano, alunne modello che silenziose aprivano le loro porte alla sua curiosità. Tutte diverse, tutte eccitanti, tutte giovani e sode, glutei da violare, carne da strappare a morsi, mutandine da lacerare con furia o reggiseni da sbottonare con cura.
Era diventato un pornodipendente senza nemmeno accorgersi di quanta strada avesse già fatto e quanto difficile fosse un percorso a ritroso. Era una droga più forte di quella a cui lo aveva iniziato Tony tanto tempo prima, né si sarebbe mai voluto disintossicare, questa era una droga che non faceva morire, che ti faceva solo sentire svuotato dopo avere consumato gratis un rapporto fisico con una prostituta che non voleva niente, solo dare piacere con la sua carne esposta sul bancone del tacchino disossato, ma senza il tagliando col prezzo: - Internet è un regalo magnifico del progresso, ti toglie tutti i bisogni e tutte le fantasie senza neanche spillarti danaro - si diceva Ernesto.
- Si, il banco "carni fresche" di Internet ti toglie la fantasia, si sostituisce ad essa - rispondeva una vocina interiore poco importante.
Poi, cominciò a poco a poco a cercare siti in cui la protagonista era adolescente, gli piacevano le labbra ancora acerbe, le unghie lunghe come una tigrotta, un'espressione ingenua sostenuta con abili movimenti del ventre da squillo navigata. La sua mente usava violenza su quell'imene che voleva immaginare custodito ancora vergine per sè, per Ernesto Pensa artigiano torinese che, al momento opportuno, sapeva sfoderare dolcezza e poteva anche smettere di sculacciarla per slacciarle i polsi o liberarle una caviglia.
Non c'era più finzione in quegli atti, il virtuale ed il reale si erano ormai intrecciati. Si sentiva un maiale, ma solo un pochino, si sa... gli uomini da che mondo è mondo sono stregati dalla trasgressione.
Quando Giovanna improvvisamente morì a causa di un infarto, nella sua vita non cambiò quasi nulla. Solo, non doveva più una volta al mese fare con lei quel sesso che non assomigliava per niente al "suo sesso segreto" con le sue scrofe adorate.
Le camicie in tintoria, ecco quello sì, una nuova spesa che si aggiungeva alle altre nel bilancio economico familiare.
Il tempo passava così, scivolando su giornate vuote fatte di solitudine grigia e pixel colorati.

Una domenica la famiglia Pensa si recò a cena a casa di amici. Gianpiero era un compagno di Ernesto dei tempi del liceo, lo aveva da poco ritrovato per caso per lavoro, era sempre stato una testa calda, un attaccabrighe che non si faceva posare una mosca sul naso ma era divertente da morire, adesso era rappresentante di una famosa cartiera italiana e si diceva contento di invitarlo a casa propria perché si presentassero a vicenda i familiari. Una rimpatriata intorno ad un desco, sebbene i due personaggi fossero profondamente diversi per educazione e per formazione politica: Gianpiero andava ripetendo spesso una frase di Ennio Flaiano: - In Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti - allora Ernesto rispondeva di rimando - Ma che cazzo dici? E gli antifascisti in quali categorie si dividono... che stronzate!
Ad aprire la porta fu Greta, il gioiello di casa, unigenita di Gianpiero, quindici anni, lunghi capelli chiari, occhi grandi chiari, la pelle luminosa e chiara, un sorriso aperto e chiaro... tutto chiaro... Tutto chiaro.
Come nelle favole antiche, in cui una giovane principessa attende l'arrivo del suo cavaliere ammantato di azzurro, così Greta sembrava avesse aspettato Ernesto dentro quelle pareti, che acquistarono la dimensione di un castello magico per quella sera.
Lui si invaghì immediatamente di quei denti perfetti che gli parlavano di letteratura francese, di interrogazioni complesse, di paura di non farcela a finire gli studi. Si invaghì di quel corpo che, ormai maturo per sentire pulsioni e bollori, rivolgeva attenzioni soltanto a lui: le sue braccia esili gli passavano il pane, gli servivano le portate avvicinandosi troppo al suo fianco. Aveva occhi di smeraldo e lo fissava incredula. Aveva la erre francese di Geraldine, aveva proprio tutto.
Con una scusa banale Greta si recò il sabato successivo a trovarlo al Laboratorio, come Ernesto amava chiamare il suo locale. Si aggirava fra gli scaffali, toccava tutto, si spingeva sulle punte dei piedi per prendere i volumi che stavano più in alto...
Ernesto si sentì catapultato indietro nel tempo in un giorno in cui fra altri scaffali aveva amato Geraldine per la prima volta; si avventò su Greta stringendole il viso fra le mani, lei gli sorrideva con le guance arrossate, non era dentro un monitor, era la tigrotta in carne ed ossa che si faceva palpare dalle sue mani ossute, una bambina formosa che permetteva alle sue dita di sentire com'è fatta la pelle di una quindicenne illibata, il sogno diventava realtà, poteva conoscere l'odore di una vergine che fino a quel giorno aveva provato solo a carezzarsi con la propria mano per scoprire quanto piacere si ricava dall'amare fisicamente se stessi.
Divenne rude, era sudato, corse a chiudere la saracinesca a metà, si precipitò sulla ragazzina che adesso sembrava impaurita, la fece sdraiare sul pavimento polveroso, le tirò su il vestito e cominciò ad annusarla come fa un cane fra i cespugli per ritrovare il contatto con la natura, lei si dimenava perché non voleva che lui sentisse i suoi odori, aveva una vergogna insospettata e gli sussurrava - Non così Ernesto, non prendermi così - ma aveva la erre di Geraldine e lui non poteva più fermarsi.
La bloccò tenendola ferma con ginocchia divenute d'acciaio e mentre lei piangeva e bisbigliava - Sono vergine Ernesto, non farmelo ti prego. - Lui ringhiava - Sei vergine ed io voglio deflorare questo tuo incantevole prato, macchiarlo di sangue, voglio sporcarmi col tuo sangue e tu sarai mia per sempre, solo mia, né di Alfio, né di altri mai.
Sfondò quel corpo come un ariete penetra nella fortezza nemica e subito un fiotto caldo inondò le mura del castello espugnato, troppo piacere, troppo intenso piacere: il lupo che mangia l'agnello e beve il suo sangue è segno di potenza fra i viventi... si sa, gli uomini da che mondo è mondo sono l'unica belva.
Greta aveva in mente un altro modo per imparare cos'è l'amore fra un uomo ed una donna, aveva un'idea che non somigliava al suo vestito stropicciato e alle mutandine più belle del suo cassetto rimaste lì, appallottolate sul pavimento pieno di polvere, fra quegli scaffali dentro la macelleria in cui era entrata con la sua voglia di farsi ammirare da un uomo affascinante che certamente la trovava molto bella.
Prima di lasciarla andare le aveva detto: - Ti è piaciuto? Era grosso come ti aspettavi? Te lo darò tutte le volte che vuoi, è tuo piccolina, tu hai un profumo in mezzo a quelle gambe che lo fa diventare una bestia feroce.
Ma chi cazzo era Alfio? Ernesto era di certo un pazzo. Fece di sì con la testa e corse via prima che gli artigli dell'orrore avessero il sopravvento e le togliessero la forza di scappare. Aprì la porta chiusa a chiave, si chinò per sgusciare sotto la saracinesca ed iniziò la sua fuga dal territorio delle iene: voleva subito raggiungere la sua casa, la sua camera, il suo bagno. Sperava di trovare suo padre: quanto sono belli i padri con le loro rughe intorno agli occhi e ai lati del sorriso, quanto ti protegge la mano callosa di un padre! No, non gli avrebbe raccontato niente: come giustificare il perché di quell'incontro e il profumo troppo speziato per la sua pelle da bambina?
Avrebbe taciuto, anche perché le era balzata in mente una frase scritta da un crudele poeta latino che faceva al suo caso: "Una vergine è cara ai suoi, fino a che si conserva tale".

Ancora pochi isolati divorati scappando come una lepre ferita da un cacciatore mediocre e fu al riparo nella sua tana.

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Pubblicato il 2 luglio 2009.

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