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Il paese ritrovato

Capitolo ventesimo

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Marcon e Cociglio erano da qualche minuto nella stanza troppo illuminata, sembrava di essere nella sala della lampada di un faro, di fronte a loro Orsolina, silenziosa, composta, chiusa, apparentemente indifferente alla situazione di privazioni fisiche cui era stata sottoposta. Cociglio era colpito dalla pazienza del commissario, conosceva la tecnica di stare in attesa silenziosa di uno sfogo da parte dell'interrogato, ma era affascinato dalla naturalezza del capo nell'applicarla. Era evidentemente un professionista dell'interrogatorio: Cociglio aveva la certezza assoluta che, se c'era qualche informazione da strappare a un testimone o una confessione a un colpevole, Marcon ci sarebbe riuscito: in queste situazioni poteva anche comportarsi come un qualsiasi berroviere, pur di raggiungere la verità.
- Sete? - iniziò finalmente il commissario.
Silenzio.
- Ultimamente hai avuto abbastanza tempo per pensare, credo.
Silenzio.
- Cociglio, per favore, vai a prendere una bottiglia d'acqua.
Cociglio uscì dalla stanza, borbottando qualcosa a riguardo degli schiavi e simulando la camminata di un mongoloide.
Orsolina era seduta sulla sedia, immobile ma non assente, quietamente assorta nei suoi pensieri.
- Da quanto tempo conoscevi il finto prete?
Orsolina non sembrava avere nessuna intenzione di parlare al commissario, e lo faceva con una naturalezza che lasciava presagire che non avrebbe cambiato idea facilmente.
- Ti rendi conto che con il tuo comportamento stai difendendo gli assassini di Carlo? Che non otterrai nessun altro vantaggio che permettergli di fuggire? - Marcon stava alzando la voce, anche se con Orsolina doveva recitare, gli sembrava di essere in una zarzuela. Dopo i primi scatti d'ira, successivi alla scoperta del corpo di Carlo, non riusciva più a vederla come responsabile dell'omicidio dell'amico, ma solo come una bambina indifesa nel mondo cattivo che abusava della suo innocenza. Perché le donne belle gli facevano questo effetto? Perché bastava un bel visino per associare alla persona che lo indossava tutte le migliori virtù?

Dopo quaranta minuti di domande Marcon si sentiva come un lillipuziano che aveva cercato di fare cambiare idea a Gulliver. Non aveva raggiunto alcun risultato e doveva ammettere oramai la sua sconfitta. Non gli era chiara la motivazione di Orsolina, ma indubbiamente non aveva alcuna intenzione di collaborare e, altro che bambina indifesa: Marcon aveva incontrato davvero poche persone così tenaci.
In quel momento entrò Cociglio con una bottiglia d'acqua e un bicchiere in mano.
- Finalmente, mi ci sarebbe voluto un cavallo rabarbaro, ho dovuto fare chilometri per una misera bottiglia d'acqua.
- Barbero, Cociglio. Barbero. Dà qua, grazie.
Orsolina bevve dal bicchiere, ma sembrava più per fare un piacere a Marcon che per sete.
- Potrai, e dovrai, andartene da qui, purtroppo non posso tenerti in cella ulteriormente poiché al momento non ci sono accuse contro di te e nemmeno possiamo rinchiuderti in cella per difenderti dai tuoi vecchi amici. Spero di non stare commettendo un errore, ma legalmente non ho altre scelte. Il mio consiglio è di non tornare a casa tua stasera né i prossimi giorni, và da parenti o da conoscenti, magari impari a fare delle valenciennes, oppure ti studi la cremificazione dei formaggi, ma non uscire dalla casa che ti sceglierai. Non è mia possibilità chiuderti in un ghetto, ma per la tua incolumità, credimi, è necessario che tu lo faccia. Provvederò a proteggerti con degli agenti, ma tu, per favore, non prendere iniziative a nostra insaputa.

 

Capitolo ventunesimo

Parolata.it è a cura di Carlo Cinato.
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