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Il paese ritrovato

Capitolo quattordicesimo

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Cociglio era già all'ingresso del padiglione, contento di potersi dedicare a una occupazione più attraente che controllare i tranquilli visitatori di quella che, nelle sue aspettative, sarebbe dovuto rivelarsi un sabba infernale. Aveva fatto servizio di vigilanza a feste paesane più trasgressive e adrenaliniche di questo raduno di magia. Se Marcon avesse potuto scegliere un agente come compagno per il lavoro che lo aspettava avrebbe sicuramente optato per Cociglio: non per nulla era chiamato Serpico dai colleghi.
- Bene, Cociglio, dobbiamo inseguire un'auto, non fartela scappare perché ci stiamo infilando in una storia sempre più brutta e intricata, non possiamo permetterci di commettere errori.
- Con piacere commissario, prendiamo il landau ufficiale o la tua macchina personale?
- La mia, la mia, con la divisa dai già abbastanza nell'occhio, non vorrei esagerare.

Fabrizio aveva visto molti film polizieschi e letto molti libri del genere, aveva perciò in qualche modo imparato qualche trucco per pedinare senza essere visto. Era riuscito a non farsi distanziare dall'auto guidata dal frate, nonostante questo avesse cambiato più volte direzione nella ricerca della birreria; apparentemente era il modo di guidare di chi cerca un locale in una zona sconosciuta, Fabrizio però pensava che fosse uno stratagemma per distanziare eventuali inseguitori. Dopo poco l'auto si fermò in una via buia vicino a un locale con il non beneaugurante nome di "Fossa". Cosa prevedeva il manuale del buon investigatore quando i pedinati parcheggiano l'auto ed entrano in un locale? Non poteva rischiare di perderli nel caso fossero usciti dal retro, l'unica possibilità era di entrare nel locale e sedersi, magari in un posto defilato, a bersi una birra: per fortuna il frate non conosceva la sua faccia. Non notato fu in grado di raggiungere un posto buio in quella siberia che era il locale, non solo per il freddo ma anche per l'assenza di avventori, da cui vedere il prete e Carlo: i due erano seduti nel centro della sala. Sobbalzò, il tavolino era una delle cose più brutte che avesse mai visto: una finta certosina in formica, a fatica superò il ribrezzo iniziale e, tranquillizzatosi, potè sorseggiare la birra. Vide Carlo avviarsi verso i servizi, il frate fare una breve telefonata dal cellulare, prendere da una tasca una boccetta di vetro, versare un liquido nel boccale di Carlo e attendere tranquillo. Doveva avvertire subito Carlo, magari raggiungerlo in bagno, non poteva permettersi di aspettare ancora.

Zucchelli, operoso come suo solito, aveva immediatamente comandato l'uscita di due auto per rintracciare l'Opel del frate. Un auto si mosse velocemente su corso Unità d'Italia nella direzione opposta a quella presa dalla vettura del frate mentre l'altra si avvicinava più lentamente battendo le strade buie della zona.

La vecchia Fiat di Marcon manteneva la giusta distanza dalla Ford gialla di Orsolina. Era fin troppo facile per uno come Cociglio seguire un'auto così vistosa, senza traffico e guidata da una persona che, evidentemente, non sapeva di essere seguita.

Il prete si alzò con calma non appena Fabrizio si mosse dal suo tavolo. Fece occhieggiare la pistola spostando lievemente un lembo della tonaca e ciò bastò per bloccare sul posto Fabrizio. Un cenno della mano del prete e Fabrizio si avviò lentamente sulla scala che portava all'uscita della birreria. Fuori dalla porta di ingresso trovò due personaggi dalla faccia poco amichevole, uno sembrava un armadio tanto era grosso, l'altro una bordolese tanto era piccolo e tozzo. Senza una parola lo afferrarono, lo trascinarono dentro l'Opel del frate dove un terzo tipo si trovava alla guida e partirono. Il frate era tornato velocemente dentro il locale, appena in tempo per farsi trovare da Carlo seduto al tavolo.

- Commissario, sei sicuro che questa tipa sappia dove andare? Mi sembra che stia girando a vuoto: sono oramai 30 minuti che la seguiamo e non ha ancora preso una direzione sensata nel suo girovagare.
- Hai ragione, Cociglio, guida come se non sapesse di essere seguita ma, nello stesso tempo, non sta andando da nessuna parte, come se invece si fosse accorta di noi e ci volesse semplicemente tenere occupati. Oppure, è sconvolta da ciò che è successo oggi e sta guidando per calmarsi. In questi casi stiamo perdendo tempo, difficilmente ci porterebbe in un luogo interessante. A meno che non stia aspettando l'ora per andare a un appuntamento prestabilito. Oppure attende istruzioni.
- Guarda, sembra che stia facendo una telefonata.
- Mmmh.

Imbavagliato, bendato, legato e spinto tra i sedili anteriori e posteriore dell'auto dai due energumeni, Fabrizio aveva avuto tempo per pensare a cosa era successo e a cosa sarebbe potuto succedere. La posizione scomoda non lo aiutava a pensare, e il cartellino di plastica con il nome lo pugnalava tra le costole. Il cartellino del nome! Che cretino! Si era dimenticato di levare il cartellino del nome, ecco come era stato scoperto dal frate. Bene, d'ora in poi, per quanto gli sarebbe stato ancora possibile, avrebbe dovuto fare la massima attenzione a tutti i particolari. Dopo un tempo abbastanza breve l'auto sembrava essere entrata in un cortile, poi Fabrizio si era trovato di nuovo sbattuto a terra con violenza, trascinato in una casa, poi in una cantina, almeno a giudicare dall'odore e dall'umidità. Venne infine rinchiuso in una stanza, sempre legato e imbavagliato. Spaventato dalle botte rimase qualche secondo immobile poi, quando sentì chiudere la porta, si mosse lentamente cercando di liberarsi mani e piedi. Riuscì nell'intento, poi attese immobile che gli occhi potessero abituarsi all'oscurità.

Le due auto della polizia giravano oramai inutilmente nelle vie del quartiere alla ricerca di una Opel grigia metallizzata. Una terza vettura le aveva affiancate nel compito.

- Non credo che stasera potremo fare più nulla di utile, ho come l'impressione che tornerà a casa tra un po', penso che abbia raggiunto il suo obiettivo di prenderci per il naso per una buona metà della notte.
- Commissario, due pallottole dum-dum e sistemiamo la faccenda...
- Cociglio.
- Stavo solo scherzando.
- Dai, andiamo a rimboccarle le coperte, poi telefoniamo alla centrale e la facciamo controllare da due agenti sotto casa, domani si vedrà cosa fare. Nel frattempo i nostri colleghi dietro il frate non hanno avuto migliore fortuna, e non abbiamo nessuna notizia da Fabrizio: non sembra essere stata una grande giornata per le indagini. Beato Carlo, almeno lui si è bevuto una buona birra.
- Io farei controllare le telefonate che la tipa ha fatto stanotte, ci vorrà forse del tempo ad averle da Telecom, ma almeno sapremo con chi si è tenuta in contatto tutta la notte.
- Certo, Cociglio, certo. E, per il resto, domani cercherò di incontrare "casualmente" Orsolina, la tipa che stiamo seguendo da quattro ore, e farò l'indiano, voglio vedere che faccia farà, se cercherà di giustificarsi, insomma, le tenderò qualche trappola.

Oramai gli occhi si erano abituati all'oscurità, e poiché continuava a non vedere assolutamente nulla concluse che non c'era nulla da vedere. Emise un urlo di prova ed ebbe la netta sensazione che nessuno l'avrebbe sentito dall'esterno, forse neanche dalla casa. I muri erano di pietra e mattoni, ed erano fradici di umidità. La porta, di legno, nonostante fosse completamente bagnata, sembrava molto solida e non si muoveva minimamente.
Si accucciò vicino a un qualche manufatto, forse l'oggetto meno umido della cantina, una specie di capitello, ionico o corinzio, probabilmente ionico, poiché era discretamente comodo.
Pensava, non poteva fare altro, ed ebbe una delle sue visioni: Carlo sdraiato e alla mercè di un uomo. Era vicino, molto vicino, ma lui non poteva fare nulla per aiutare l'amico, e sentiva che nessun'altro poteva aiutarlo: tutti erano maledettamente lontani. Carlo era abbandonato a se stesso, o meglio, era abbandonato al frate malvagio.
Nonostante l'evidente inutilità Fabrizio iniziò a urlare e a battere disperatamente i pugni contro quella che sembrava essere la porta, cercò di gettarle il capitello contro, ma era troppo pesante. Andò avanti, forse per alcuni minuti, poi spossato e senza forze come un malato di mal francese, crollò a terra, in preda alla disperazione, più per l'orribile sorte dell'amico, che oramai percepiva in tutto il suo orrore, che per il proprio stato.

- Cociglio, ti ringrazio, hai fatto gli straordinari per nulla stasera.
- Nessun problema, non riesci a immaginarti la noia in quella mostra, non se ne poteva più.
- Sinceramente io non mi ero annoiato troppo, ma ti posso capire. Io sarò tra qualche ora in ufficio, ci si vede domani.
- A domani, buona notte.

Due ore, una doccia e una breve colazione dopo Marcon era già in ufficio, nonostante si sentisse instabile come un carattere italico. Il massimo che si era concesso di riposo era un quarto d'ora sul letto durante il quale gli sembrava di essere sui chiodi di un fachiro. I dubbi che aveva avuto su come gestire l'inseguimento di Orsolina e il frate ora erano amplificati dall'inutilità del suo lavoro notturno. Non avrebbe dovuto permettere a Carlo di andare da solo con il frate, e non avrebbe dovuto lasciarlo seguire solo da Fabrizio, ora aveva la netta sensazione che Carlo si fosse cacciato in una situazione molto pericolosa, e Fabrizio con lui. Concluse che la vecchiaia si stava impadronendo di lui, forse avrebbe dovuto lasciare il lavoro sul campo a gente più pronta e più lucida di lui.
- Commissario, stavo, stavo per cercarla sul telefono.
- Novità?
- Novità, sì, novità. Stamattina, nel comune di Sant'Ambrogio, è stato trovato un cadavere dentro un lenzuolo. C'è solo il corpo, manca la testa e... e il collo sembra essere stato strappato a piccoli morsi.
Marcon si abbandonò pesantemente su una sedia. Prese il fazzoletto dalla tasca e lo portò alla bocca.
- Non sembrano esserci messaggi o segnali evidenti, però la vittima aveva in tasca un portafoglio con i documenti, e...
Marcon aveva la testa tra le mani, si guardava con disinteresse le scarpe. La frase successiva non giunse inaspettata (forse aveva già letto il capitolo undicesimo).
- E, i documenti, sono quelli del vostro amico, Carlo.
Marcon emise un lungo sospiro e rimase immobile per cinque minuti con la testa tra le mani a guardarsi con disinteresse le scarpe.

 

Capitolo quindicesimo

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