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Il paese ritrovato

Capitolo undicesimo

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Il gruppo di persone lasciava trasparire una grande inquietudine, anche se l'insieme era praticamente immobile. Gli avvenimenti degli ultimi giorni, la tensione di lavorare su argomenti delicati e pericolosi, l'ignoto che dovevano affrontare sembrava improvvisamente pesare sui protagonisti. Anche Marcon, che era abituato a omicidi e assassini, era in qualche modo influenzato dall'aura di mistero e di soprannaturale che sembrava avvolgere tutti gli eventi da qualche giorno a questa parte. Nessuno aveva la sensazione di avere, almeno minimamente, sotto controllo la situazione: tutti sembravano muoversi in un gioco di cui non conoscevano le regole. Ma era una babilonia tutta interiore, perché esteriormente erano sorrisi e amicizia, specialmente da parte di Fabrizio, che per qualche motivo era forse quello che evidenziava una maggiore tensione.

Carlo stava lentamente uscendo dal limbo in cui l'aveva sprofondato la vista di Orsolina, e si stava rendendo conto che Fabrizio aveva in qualche modo monopolizzato l'attenzione: stava parlando dell'interesse che aveva in comune con Carlo per la scrittura e, specialmente, per gli argomenti controversi e misteriosi. Certo Carlo non si aspettava, dal tono dei messaggi che si erano scambiati, che Fabrizio potesse essere un marcantonio travestito da prete (seppure con tratti inquietanti: sembrava un eretico in odore di autodafé, forse un albigese) e declamante sestine di Nostradamus da un palco. Si sarebbe più facilmente atteso un giovane sibarita con un napoleone di cognac in una mano e un sigaro avana nell'altra.
Fabrizio continuava a parlare, e a mano a mano si infiammava per le proprie argomentazioni: Rol, Nostradamus, la seppia gigante, il contributo di Torino alla magia mondiale, Paracelso, le piramidi, Houdini e, a legare il tutto, ovviamente il sacro Graal. Carlo non riusciva a seguire il discorso torrenziale dell'amico, non sapeva se perché erano obiettivamente parole confuse o se perché continuava a pensare all'improvvisa apparizione della moglie.

Carlo a poco a poco si riprese, almeno fisicamente, dalle emozioni: si sentiva come uno scalatore che adotta quello stile, il californiano, e si attacca a qualsiasi asperità, ad ogni incavo, per tirarsi fuori dal pozzo in cui si trova. Allora ogni rumore, ogni colore, ogni volto gli servivano per rendersi più consapevole, più conscio del luogo e del tempo che stava vivendo. E Fabrizio non si può dire che facilitasse il compito, insistendo con la sua logorrea; altra cosa Marcon che, sollecito e servizievole, lo confortava con brevi parole durante le rare pause del frate. Dopo non molto Carlo si sentì di nuovo in forze e fu in grado di alzarsi dalla sedia; non vedeva più Orsolina, ma la cosa non gli dispiaceva, poiché avrebbe avuto tempo più tardi di risolvere tutti i dubbi che l'avevano sopraffatto. Fu allora contento di rituffarsi, con Marcon e Fabrizio, nella folla che nel frattempo si era formata nella sala espositiva.
Fabrizio esponeva tutta la sua cultura sull'argomento, con voce tunante e con enfasi eccessiva, e risvegliava conoscenze sopite nei due amici oppure generava in loro nuove idee. Carlo e Marcon ascoltavano, prevalentemente, e cercavano di districarsi nella pletora di fatti, religioni, profezie e personaggi che Fabrizio sciorinava senza preoccuparsi di fornire un filo logico al discorso. A Carlo venne in mente la strana espressione latino di bocca: il suo amico prete era davvero latinissimo di bocca, a volte sembrava addirittura sforzarsi di parlare, e ciò era in contrasto con l'altezza imponente, il passo pesante, le mani enormi: dall'aspetto si sarebbe aspettato piuttosto una persona taciturna.
Era ormai sera, l'appetito era quasi arrivato a chiamarsi fame, e Carlo non si sentiva ancora pronto a tornare a casa, poiché era ancora fortemento inquieto e non voleva rischiare di incontrare la moglie, meglio vederla e parlarle a mente fredda, magari domani. Mentre Marcon aveva promesso alla moglie che sarebbe tornato a cenare a casa, almeno la sera libera dal lavoro non poteva lasciarla sola, Fabrizio si mostrò entusiasta di concludere la giornata davanti a una birra, chiacchierando con l'amico di penna elettronica. Marcon prese in disparte Carlo senza farsi notare e
- Carlo, se posso darti un consiglio non richiesto, vattene a riposare, oggi non hai avuto una giornata tranquilla.
- Lo so, hai ragione, ma, credimi, non me la sento proprio di tornare a casa, e per passare la serata in birreria da solo preferisco che ci sia Fabrizio, nel caso non mi sentissi nuovamente bene.
- D'accordo, come vuoi tu, però secondo me faresti meglio ad evitare Fabrizio, non so spiegarti perché, ma sento che è così. Ti accompagnerei, ma sai, ho promesso...
- Non ti preoccupare per me. Grazie, comunque.

Da un passaggio laterale, con la sua caratteristica camminata più simile a uno scivolamento e con cambi di direzione che ricordavano la cristiania sciistica, nel frattempo sopraggiungeva Fabrizio Pieri. Stava passando di fianco a Carlo, a Marcon e al prete mentre questi si stavano salutando. Con la testa tra le nuvole, come sempre, aveva a malapena notato il cartellino di una delle persone, si chiamava come lui: Fabrizio Pieri. Curiosa coincidenza. Non era il tipo da dare peso alle coincidenze, così non pensò di attaccare discorso per conoscere il suo omonimo, anche perché si sentiva respinto dall'uomo: forse il vestito o forse la faccia non gliene rendevano appetibile la conoscenza. Curvò a sinistra e, non notato, si allontanò per un altro passaggio.

Carlo e il prete uscirono dall'edificio e si avviarono a piedi alla ricerca di una birreria nelle vicinanze. Entrarono nella "Fossa", il solito pub con ambientazione lugubre e luci inesistenti. Dopo tutte le stranezze sentite, viste e provate nella giornata, Carlo avrebbe preferito piuttosto trascorrere la serata in un luminoso e rassicurante McDonald's, ma la zona sembrava la città fantasma di un film western, con un unico malfamato saloon, piuttosto che una parte di Torino, città dell'occidente europeo. Non era insomma il momento di dare peso alle sensazioni negative.

Mezz'ora dopo il prete cingeva Carlo tra le sue braccia e, complice il buio, senza dare troppo nell'occhio lo trascinò come un peso morto fuori dalla "Fossa".

Carlo aprì gli occhi, ma non vide nient'altro che buio. Era diventato cieco? Cercò di alzare una mano, ma non riuscì nemmeno a formulare il pensiero di alzare una mano, come se non ne fosse mai stato capace. Non capì se era stato legato fermamente, se era paralizzato o se non aveva più il braccio. Non sentiva nulla, provò a parlare ma non ne fu capace. Non sapeva più se aveva un corpo o se era morto, o forse era stato sepolto vivo. Cercò di ruotare la testa per cercare uno spiraglio di luce, ma non ne fu capace, o almeno non aveva nessu riferimento sensoriale grazie al quale potere dire che aveva girato la testa. Forse era ancora svenuto, anche se ciò che provava ora non era confrontabile con le sensazioni che aveva provato dopo il collasso del pomeriggio, era piuttosto come essere ubriaco, o meglio drogato, e non avere più il controllo del proprio corpo. Nonostante gli sembrasse di vivere in un sogno, però, ora si sentiva completamente lucido e calmo.
Non ricordava con certezza gli ultimi istanti della sua vita precedente, quando aveva un corpo: gli sembrava, dopo essere entrato in birreria, di essere andato ai servizi e al ritorno di avere trovato il boccale di birra sul tavolo. Aveva iniziato a bere e Fabrizio parlava, al solito. Si ricordò che l'altro non si era allarmato più di tanto quando aveva visto che non riusciva più ad afferrare il bicchiere di birra, anzi, forse aveva sorriso. Dopo un periodo di vuoto mentale si era ritrovato, probabilmente in posizione orizzontale, in questo luogo in cui non vedeva e sentiva nulla, percepiva solo il grande calore, l'umidità insopportabile e l'assenza di ossigeno.

Dopo qualche minuto trascorso ad analizzare la situazione ebbe abbastanza chiaro cosa era successo: era stato drogato da Fabrizio tramite la birra che aveva bevuto, quindi era stato trascinato fuori dal locale, oppure semplicemente in una stanza attigua. Pensò che ora era alla mercé di un tipo che conosceva solo per alcuni messaggi scambiati e per avere trascorso uno strano pomeriggio insieme, che poteva essere un innocuo pazzoide oppure un serial killer. Pensò che, chissà, forse il prete non era neppure Fabrizio Pieri. Pensò che il prete aveva detto delle cose incoerenti rispetto all'ultima mail di Fabrizio, come se non la conoscesse, e pensò che, a parte Orsolina, chi poteva avere fornito informazioni affinché qualcuno potesse impersonare Fabrizio Pieri? Pensò che non aveva visto il classico cordone di canapa a cingere in vita il saio del prete, ma una strana corda formata da cordini più piccoli, come di plastica, intrecciati e grigiastri, e che tre o quattro pietre colorate erano incastonate nella curiosa corda.
Non pensò ad altro perchè, grazie all'approssimarsi di una fievole luce nel buio assoluto, con un sussulto aveva capito di non essere cieco. Il campo visivo di Carlo era limitato dall'impossibilità di muovere la testa, ma da ciò che poteva intuire ritenne di essere adagiato a terra. Le mura e il soffitto erano fradici di umidità, gocce cadevano dalle pietre della volta e fitte ragnatele erano immobili come l'aria. Era sicuramente sotto terra, probabilmente urlare non gli sarebbe servito a nulla, in ogni caso non era in grado di articolare alcun suono. Man mano che si avvicinava la luce tremula di una candela aveva la possibilità di vedere gli attrezzi che si trovavano su una vecchia scansia che una volta era stata di legno. Attrezzi da fabbro, tenaglie dalle lunghe impugnature, punteruoli, martelli, chiodi enormi, gabbiette per animali: una scenografia da grand-guignol che, nelle condizioni in cui si trovava, a un tratto gli aveva cancellato la calma indotta dalla droga. Avvertì il peso dell'angoscia sul petto e si accorse del sudore che scendeva a rivoli dal volto.
Sentì dei cigolii e forse degli squittii quando nel campo visivo apparve la figura piegata del prete, ora con un saio completamente nero e senza corda a cingere i fianchi. Armeggiò in un angolo cieco e l'illuminazione della cripta aumentò, come pure l'agitazione di Carlo all'apparire di nuovi particolari nell'arredamento. Oltre un sudario di ragnatele vide dei libri antichissimi di cui non poteva leggere i titoli, tranne di uno di cui lesse l'iniziale "N", e dai quali percepiva sprigionarsi una malvagità infinita; dentro una rientranza del muro vide una grata antica e corrosa e un'armatura, anch'essa antica ma in buone condizioni.
Il prete, dopo tanto tempo, parlò. Non più con la foga del pomeriggio e della sera, ma in modo pacato, con lunghe pause.
- Spero di non avervi creato dei fastidi con questo fuori programma dopo la birreria, ma forse capirete che la situazione era complessa e richiedeva di intervenire con una certa decisione per cercare di evitare la catastrofe, dopo che avevate fortuitamente incontrato vostra moglie. Desidero innanzitutto che sappiate che vostra moglie è completamente all'oscuro di tutto ciò che è avvenuto dal momento del vostro collasso e ciò che avverrà d'ora in poi: l'ho fatta allontanare e ho preso io in mano la situazione. Orsolina è una brava discepola, ma è troppo legata al mondo fisico per fare da maggiore, ha ancora bisogno di qualcuno che la indirizzi. Non sarà contenta di ciò che le racconterò domani, questo a testimonianza che è ancora lontana dal raggiungere lo stato di perfezione a cui aspira. So di essermi esposto eccessivamente questa sera, ma con Orsolina che si è fatta scoprire e nella situazione in cui eravamo giunti era solo una questione di tempo e ci avreste individuati, nel qual caso difficilmente la prole avrebbe terminato il suo compito nei tempi prefissati. A quel punto non mi restava che una possibilità: scatenare un pandemonio tale da fare saltare tutte le regole, e nel far-west che ne sarebbe nato, continuare la nostra missione.
Il prete aveva acceso e posizionato intorno a Carlo cinque lumi a petrolio, dopodichè aveva segnato il terreno con un bastone creando una ragnatela di segni tra i lumi. Si era poi avvicinato alla nicchia nel muro, aveva preso delle parti di armatura e iniziato a vestire Carlo.
- L'armatura vi sarà forse un po' abbondante, ma non dovrete tenerla a lungo. Impressionato dal luogo? Non abbiate paura, altra gente l'ha frequentato e nessuno ha avuto di che ridire. C'è qualche lamentela da parte vostra? Bene, vedete che non c'è problema? Siete fortunato, un migliaio di anni fa avrei acceso un bel fuoco, ora nell'epoca dei fast food non sembra esserci più tempo per le raffinatezze da buongustaio. Scusate, queste celate sono dei congegni complicati, non sono facili da indossare. Ciò che vi capiterà ora non è strettamente necessario per i nostri scopi, consideratelo come una mio presente, una dimostrazione delle antiche tradizioni della nostra comunità in omaggio alla vostra caparbietà nel rincorrerci. Non dovreste sentire molto male, la droga funziona anche da anestetico, potrete godervi quindi questa esperienza, l'ultima, con la dovuta calma. Se vi servisse qualsiasi cosa, non esitate a chiamarmi.
Il prete si allontanò e fece qualche rumore fuori dal campo visivo di Carlo.
- E stato un piacere conoscere il marito di Orsolina. Addio.
Non poteva credere che il prete parlasse sul serio: le torture che con raccapriccio cercava e leggeva da bambino gli erano sempre sembrate dei puri esercizi di inventiva, non atti che davvero potevano essere compiuti. Capì al primo morso che l'effetto anestetico della droga era di gran lunga inferiore a quanto avesse desiderato. Fece in tempo a pensare - Certo che Marlowe non ci sarebbe mai cascato.
Il corpo di Carlo sarebbe stato ritrovato il giorno dopo sotto il dirupo della sacra di San Michele, la testa no.

 

Capitolo dodicesimo

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